Di Santo al giudice: nessuno mi ha aiutato

Il bombarolo interrogato in carcere per 3 ore: «Le bombole erano vuote». L’avvocato chiede gli arresti domiciliari
PESCARA. «Ho agito da solo, senza complici», «non sono pazzo», «è stata tutta una messa in scena» e al giudice per le indagini preliminari che gli chiedeva anche dell’ordigno, Roberto Di Santo ha risposto che era «innocuo». E’ stato interrogato per circa tre ore il “bombarolo” originario di Roccamontepiano, rinchiuso in carcere da venerdì scorso per una lunga scia di quelli che ha definito «gesti dimostrativi»: un ordigno piazzato nella casa di Cepagatti, due auto incendiate e un rogo appiccato a un’ex casa famiglia a Chieti. Perché questi gesti? E’ stato Di Santo, assistito dall’avvocato Alfredo Di Pietro, a ripercorrere le tappe delle sue gesta sollecitato dalle domande del gip Luca De Ninis e del pm Silvia Santoro e iniziando dal primo atto, l’auto incendiata del vicino e l’ordigno messo nella casa di Cepagatti l’8 gennaio.
«Quell’ordigno era innocuo», ha detto Di Santo ai magistrati durante l’interrogatorio in carcere. «Innocuo perché le bombole di gas erano vuote. E’ stata una messa in scena per attirare l’attenzione», ha detto l’ex impiantista di 58 anni arrestato dai carabinieri di Pescara in un casolare di Rosciano dopo undici giorni di latitanza. «Ho voluto fare queste cose», ha aggiunto, «per rendere visibili alcune problematiche. Ma non volevo fare del male a nessuno e non l’ho fatto: è stato un sacrificio di cui sono dispiaciuto ma necessario a far emergere alcuni problemi che riguardano la giustizia».
Nel frattempo il suo avvocato si è opposto al fermo perché, come spiega, «nell’attuale ordinamento non è contemplato il reato di tentata strage» e aggiunge di aver chiesto gli arresti domiciliari per Di Santo. «Non chiederò la perizia psichiatrica», ribadisce Di Pietro, «perché Di Santo non è pazzo, non soffre di disturbi ma al limite la sua personalità va ricondotta in una problematica psicologica».
Racconta il legale che Di Santo avrebbe spiegato ai magistrati l’origine del suo malessere che l’ha spinto a chiedere visibilità attraverso un ordigno e le auto incendiate. «Si sente incastrato in un meccanismo», dice l’avvocato riferendo quello che Di Santo ha spiegato al giudice per le indagini preliminari. «Un sistema che parla attraverso le lungaggini della giustizia, casi che non si risolvono mai». E come esempio l’ex impiantistica ha portato il terreno conteso tra la sorella e il vicino di casa a causa di una doppia vendita.
E’ anche per questo, come dice il legale, che Di Santo è stato spinto ad agire «ma con la volontà di non voler fare del male a nessuno e ha detto anche che non ripeterà più quei gesti ma parlerà attraverso le sue pubblicazioni».
Era tranquillo, Di Santo, durante l’interrogatorio e si è detto anche «dispiaciuto» per quello che è accaduto. Dopo l’interrogatorio, l’uomo è tornato nella cella che condivide con altri detenuti, riprendendo le letture che lo accompagnano anche in carcere.
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