Gallerati: pronto a tornare in campo ma non mi candido

Intervista all’ex sindaco assolto al processo Ciclone «D’ora in avanti starò più attento con chi vado a cena»
MONTESILVANO. «Ai tempi della Dc ci chiamavano uno il frate e l’altro il prete». Gallerati il frate, silenzioso e metodico, e D’Alfonso il prete, uno che passa la vita tra la gente. «Luciano non ha mai smesso di fare politica nonostante le inchieste perché ce l’ha dentro mentre io», dice Gallerati, «sono di un’altra scuola e ho aspettato che si chiarisse quella storia che mi è capitata addosso. Ho sempre fatto parte dell’assemblea cittadina del Pd ma non sono andato quasi mai alle riunioni: si sentivano troppo distacco e imbarazzo rispetto a noi imputati del Ciclone. Il tempo, però, è stato galantuomo». Renzo Gallerati, 10 anni da sindaco e in politica da una vita, pesa ogni parola. Anche quando dice: «Io sono un peccatore ma non un peccatore doloso e a casa non mi sono portato niente. Il Ciclone? Una grande esperienza formativa ma qualcuno ha sbagliato. D’ora in avanti starò più attento con chi vado a cena». E ora si apre una fase nuova: Gallerati è pronto a tornare. Ma non da candidato.
D’Alfonso è stato assolto ed è tornato subito a fare politica da protagonista. Lei, stesso percorso giudiziario, è ancora nelle retrovie. Perché?
«Luciano non ha mai smesso mentre io non avrei mai voluto ricoprire ruoli politici o amministrativi nelle more di una sentenza. Ecco perché sono rimasto in terza fila, forse anche in quarta. Del resto, la politica si può fare in tanti modi: non servono una fascia, carta intestata o biglietto da visita. La politica è ciò che riguarda la vita di una comunità, altro che mostrine sul bavero».
Presto ci saranno le elezioni regionali. Che farà?
«Quello che ho sempre fatto: cercare di capire se gli apparati, dei partiti e della società organizzata, si pongono il problema di trovare una figura che possa esprimere al meglio quelle necessità che vanno interpretate nelle sedi e non parlo soltanto di sedi elettive: nelle nuove compagini che si formeranno ci sarà bisogno di tecnici o di professionisti dalla grande capacità relazionale. Non conta soltanto il consenso elettorale: questa è l’era degli staff e delle esperienze tecnicistiche. Per questo, bisogna intendersi su cosa significa fare politica: vuol dire essere eletti? Io non ci credo: la politica si può fare anche in altri modi. C’è bisogno, questo è certo, di un management che abbia larga esperienza e visibile riconoscibilità».
Che ne pensa di D’Alfonso candidato?
«Luciano fa come gli studenti: si sottopone agli esami ed è sempre da 30 a lode».
Gallerati, com’è la Montesilvano di oggi?
«Montesilvano e il sindaco Attilio Di Mattia vivono il periodo dell’apprendistato come è successo con me nel 1995. Il primo periodo è formativo: non sei tu a gestire i problemi, ma sono i problemi che ti rincorrono e devi parare i colpi. Poi, con il tempo, aumenta la capacità, la squadra si affina e i risultati arrivano».
E l’azzeramento della giunta dopo 10 mesi?
«È successo anche a me, tutto normale. In un Comune, i sindaci non sono tutto: ci sono le piccole scosse telluriche nei partiti e ho saputo anche di gelosie nei rapporti personali. Ma non è niente di grave».
Un consiglio per Di Mattia?
«Attilio vive un momento nero: ho visto il bilancio con l’assessore Enzo Fidanza e ho capito che non c’è trippa per gatti. Ma questo è il momento di progettare e programmare perché i finanziamenti torneranno. È la vecchia ricetta gaspariana: le possibilità per il territorio nascono dall’avere progetti pronti e finanziabili».
Lei è stato assolto in primo grado nell’inchiesta Ciclone. Che anni sono stati?
«Una grande esperienza formativa. Ho capito che non si può dare sempre la colpa all’arbitro: se le squadre giocano male anche se fanno gol, e noi di gol ne abbiamo fatti tanti, vuol dire che qualcosa di sbagliato c’è. La politica deve fare un’analisi introspettiva e chiedersi dove ha sbagliato. Io l’ho fatto e dico che, con una Ferrari, abbiamo premuto troppo sull’acceleratore in una zona in cui c’erano limiti di velocità e questo i giudici ce l’hanno fatto notare. A volte abbiamo superato quei limiti, non per sfidare la polizia stradale, ma per voglia di fare. Ho riflettuto e, adesso, molte delle cose che ho fatto, dal punto di vista dei comportamenti personali, non le rifarei: penserei meglio con chi andare a cena o a fare un’istruttoria più serena di alcune delibere. Il Ciclone mi ha aiutato a capire che non tutto si può fare allo stesso tempo e alla stessa velocità, anche se si tratta di atti legittimi. Per questo, l’arbitro ha fatto bene a mostrare qualche cartellino rosso. Il centrosinistra, nel 2006, ha avuto un consenso troppo ampio e, con quei voti, si è portati a sentirsi regnanti e non governanti».
D’Alfonso riprendeva il detto dell’ex sindaco di Barcellona, Pasqual Maragall: «Qui si può fare, poi si vede come». È stato questo il vero problema?
«Lo zelo è sempre positivo ma la voglia di fare presto e bene nasconde sempre punti deboli. Il Ciclone mi ha fatto crescere. L’unica cosa che mi è mancata è stata confrontarmi con il pm: io sono uno disposto sempre a riconoscere le mie manchevolezze e lo faccio anche con il confessore. Io dico: sono un peccatore ma non un peccatore doloso e a casa io non mi sono portato niente». ©RIPRODUZIONE RISERVATA