IL CINISMO È UN DIO
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Galossi sentiva il bisogno di trasformarsi in aria, di tornare a essere polvere e niente più.
Io, sospeso sopra le nuvole dell'acido, tentavo atterraggi d'emergenza sopra fiordi islandesi e non volevo, ma come sempre dovevo rimanere fedele a me stesso, sforzarmi di dimenticare, di far entrare ossigeno nel mio corpo e tirare fuori discorsi di seconda mano, parole meno affilate ma pur sempre taglienti.
Galossi era dimagrito dodici chili in tre mesi, non rideva più, aveva smesso di mangiare patatine, "your funeral, my trial" di Nick Cave era finito sotto il divano, col solco ben in vista sulla custodia ricoperta dalla cenere dei ricordi.
Io continuavo a sognare di silenziose ronde notturne e squadre di fascisti educati; sotto la mia finestra la polizia continuava a urlare nel megafono, le fiamme stavano ormai avvolgendo la casa, continuavo a tenermi stretto tra le braccia le mie camicie firmate e non avevo alcuna intenzione di fuggire via. Quel fuoco era la più bella cosa che avessi visto negli ultimi sei mesi.
Galossi era immerso tra le fiamme nell'anomala emozione di uno yoga permanente.
Nella mia testa nordici paesaggi prendevano il posto delle urla di paura che arrivavano dalla strada.
Rifletto.
Stato d'emergenza e voglia di fuggire via: non c'è rotta che non implichi una collisione col passato.
Mi alzo.
Le fiamme sono ormai sopra il corpo di Galossi che non muove un muscolo, guardo fisso nel vuoto dei suoi occhi che gli psicofarmaci hanno reso piccoli e lucidi, faccio un cenno col capo, come d'approvazione, lui si gira dall'altra parte, ha deciso così ed è la scelta migliore che abbia mai fatto nella sua vita, mi viene in mente che avrebbe dovuto farlo molto prima.
Accendo una Marlboro tra le fiamme dell'appartamento, prendo una borsa e la riempio di camicie, devo lasciarne fuori una buona metà ma non importa, rimango ancora un po' a fissare le fiamme ripensando agli anni passati dentro quella casa, a tutte le donne che avevano messo piede lì dentro di notte ed erano uscite al mattino lasciando soltanto un vuoto da colmare, a volte un perizoma e quasi sempre una grande confusione nel bagno, ripenso ai calci in culo presi da Galossi quando non apriva le finestre per far entrare aria, penso a tutto questo e neanche adesso riesco a provare tristezza, quindi infilo il mio cappotto di cashmere e vado via per l'ultima volta.
Scendo in strada tra gli sguardi apprensivi delle forze del disordine, sorrido, mi chiedono se è rimasto qualcuno dentro lo stabile, mi faccio serio e dico: "la cosa più importante rimasta tra le fiamme è il mio divano di pelle, era un bel divano" sorrido "ma almeno sono riuscito a salvare qualche camicia" lo sbirro accenna un piglio di sfida, lo guardo fisso negli occhi fino a quando non abbassa lo sguardo e torna in mezzo al branco.
Mi guardo attorno e capisco di essermi liberato per sempre di Galossi, senza fare troppo rumore, vedo la mia immagine riflessa nel vetro di una caffetteria, nonostante l'incendio sono abbastanza presentabile per andare in ufficio, guardo l'orologio, mi volto un'ultima volta per osservare le fiamme. Sono diventato cinico, spietato, affamato di violenza, ma il denaro è l'unica cosa che conta in questo sporco mondo, quindi sistemo il cappotto, salgo sul metro e vado a batter cassa.
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