La difesa di D’Alfonso accusa: un processo alla persona

Le presunte tangenti al Comune di Pescara, l’avvocato Milia parla per tre ore in tribunale e contesta la procura: “Non ci sono prove e non si sono perseguiti i fatti ma soltanto il soggetto”
PESCARA Circa tre ore, tanto è durata l’arringa dell’avvocato Giuliano Milia, difensore dell’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso nel processo relativo all’inchiesta «Housework» su presunte tangenti negli appalti pubblici al Comune. La sentenza è prevista per lunedì prossimo, 11 febbraio. D’Alfonso, uno dei 24 imputati, deve rispondere di corruzione, concussione, tentativo di concussione, associazione per delinquere, appropriazione indebita, truffa e peculato. Ricordando tutti i capi di imputazione e relative vicende, Milia sottolineato come anzichè «perseguire» i fatti si sia perseguito il soggetto. Il legale ha citato testualmente, a tale proposito, le parole pronunciate dal procuratore generale della Corte di Cassazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario: «Occorre perseguire i fatti con fermezza, ma perseguire qualcuno costituisce un pessimo modo di fare giustizia». Quanto all’accusa di associazione per delinquere, Milia ha detto che si è sempre fatto il bene della pubblica amministrazione. Al termine della requisitoria, il pm Gennaro Varone aveva chiesto per D’Alfonso sei anni di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca della sua villa a Lettomanoppello.