La sorella del bombarolo in lacrime "Non sappiamo dove possa trovarsi"

12 Gennaio 2013

CHIETI. «Mio padre ha 82 anni, sta male, lasciatelo in pace». È la sorella di Roberto Di Santo ad aprire la porta nella casa di famiglia nelle campagne di Chieti. Una villetta isolata, in cima a una salita dove spunta una bombola del gas appoggiata al lato della strada. Michele Di Santo parla al telefono con i giornalisti, spiega nei dettagli il percorso per raggiungere casa sua. Ma la figlia non gli permette di incontrare nessuno, cerca di proteggere la tranquillità di un uomo anziano e dell’intera famiglia, travolta suo malgrado dagli avvenimenti. «Stiamo tutti male, siamo in mezzo ai guai e dobbiamo tutelarci», si sfoga la donna quasi in lacrime.

È lei l’intestataria della Toyota incendiata nella serata di giovedì di fronte al tribunale di Chieti. La targa era stata sostituita con quella di un vecchio furgone di suo fratello Roberto, principale sospettato dell’attentato e ricercato in tutta Italia. I parenti hanno tentato di contattarlo senza successo: «Ha il telefono spento, non sappiamo dove possa essere. Ma non fatemi dire di più, non posso parlare, dobbiamo proteggerci», taglia corto. Le indagini sono affidate alla procura di Pescara, perché è nella zona di competenza di quest’ultima che è stato commesso il primo reato. Ma ieri i carabinieri di Chieti hanno acquisito tutte le immagini pubblicate sui giornali, comprese quelle apparse sul Centro.

Per il momento ci sono poche certezze. Le bombole a bordo della Toyota incendiata non avevano alcun innesco: l’auto è stata cosparsa di liquido infiammabile e poi è stato appiccato il fuoco. L’odore acre di fumo ha invaso il tribunale per tutta la giornata di ieri: l’aria era talmente irrespirabile che le udienze sono state sospese. Sul fronte delle indagini, non sarà di alcun aiuto nella ricostruzione di quanto è successo giovedì sera in piazza San Giustino la telecamera puntata sull’ingresso del tribunale. Il dispositivo non funziona e dunque non ha ripreso il momento in cui la Toyota è stata parcheggiata di fronte al portone per poi essere data alle fiamme.

Subito dopo l’attentato il presidente del tribunale, Geremia Spiniello, ha ricordato di aver chiesto con forza da mesi maggiori controlli per il tribunale, soprattutto un sistema di videosorveglianza e una guardia armata sempre in servizio. Ma il suo appello è rimasto inascoltato, al punto che nell’estate del 2011 sono stati rubati 50 chilogrammi di droga dal deposito di palazzo di giustizia. Oggi la situazione non è cambiata: chiunque, tramite l’ingresso del bar sul retro, potrebbe intrufolarsi nel tribunale.

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