Mare-Monti, assolti D’Alfonso e Carlo Toto 

Lo sfogo del governatore: dopo 4mila giorni emerge la totale estraneità alle accuse di truffa e falso

L’AQUILA. «Dopo 4mila giorni ottengo ragione poiché ho potuto assistere all’emersione della verità che si scrive in un solo modo: la totale estraneità da sempre a qualunque responsabilità». Lo sfogo è del presidente della giunta regionale e neosenatore, Luciano D’Alfonso, dopo aver letto la sentenza di assoluzione nella cancelleria di Corte d’appello, all’Aquila, per il processo Mare- Monti. «Su questa vicenda», ha aggiunto, «ho solo avuto una particolare premura per il territorio. Si è scritto, sempre in questi 4mila giorni, di strada “fantasma” facendo intendere che la strada non ci sia e i soldi sono scomparsi: i soldi ci sono tutti, tanto è che li appalteremo e la strada non è partita per un problema territoriale, di suolo». Il tutto a fronte di lavori per 22 milioni.
Il resto, su questa vicenda nella quale era accusato di truffa e falso insieme agli imprenditori Carlo Toto, Paolo Toto e Alfonso Toto, lo dirà oggi in una conferenza stampa a Pescara. Oltre a D’Alfonso, che aveva fatto ricorso contro la prescrizione per essere assolto con formula piena, è stato scagionato anche il patron Carlo Toto, entrambi con la stessa motivazione «non aver commesso il fatto». Per gli altri due imputati è stata confermata la sentenza di primo grado con la quale è stata applicata la prescrizione.
Che per D’Alfonso l’assoluzione nel merito fosse scontata lo si è inteso dalla requisitoria del sostituto procuratore generale Carlo Paolella, il quale, nel suo brevissimo intervento, ha affermato come l’estraneità del presidente della Regione emergesse ictu oculi, ovvero al solo colpo d’occhio, mentre ha insistito per la prescrizione per gli altri tre imputati, istanza che il collegio, presieduto dal giudice Aldo Manfredi, ha accolto in parte. Per D’Alfonso, assistito dall’avvocato Giuliano Milia, e Carlo Toto, assistito dall’avvocato Augusto La Morgia, il caso è chiuso. Per gli altri due si andrà in Cassazione una volta rese note le motivazioni.
Ai giudici non deve essere passato inosservato un aspetto ben presente nelle memorie: D’Alfonso era presidente della Provincia cinque anni prima che l’appalto, per fare la strada nell’area vestina, fosse bandito e non esiste un solo atto che possa provare il suo coinvolgimento. L’appalto, del resto, era stato vinto dai Toto e un ricorso contro l’assegnazione fu bocciato. Secondo le accuse l’appalto sarebbe stato vinto dai Toto con un’offerta anomala a e antieconomica e la somma sarebbe stata ritoccata con una perizia di variante. Ma la variante era stata imposta dall’Anas per motivi ambientali e di sottoservizi.
In questa vicenda, ma in un procedimento separato, si inserisce una presunta estorsione ai danni di D’Alfonso, a carico di Giuseppe Cantagallo che fece i sondaggi geologici iniziali nel primo progetto. Questi avrebbe chiesto 130 mila euro per non rendere la propria testimonianza su fatti processuali pregiudizievoli alla posizione di D'Alfonso che poi lo ha denunciato. Sostiene di aver ascoltato una telefonata del presidente nella quale il governatore avrebbe detto che Toto aveva pagato un milione per avere l’appalto. Ma questo resta confinato nelle sue fantasie.
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