Montesilvano, processo Ciclone: attesa per la sentenza

27 Dicembre 2012

Il verdetto a sei anni dall’arresto dell’ex sindaco Cantagallo, 32 gli imputati. Le prescrizioni hanno già cominciato a cancellare i capi d’imputazione

MONTESILVANO. Il destino delle maxi inchieste – quelle gravate da grandi numeri intesi come imputati, come giro di denaro, come volume di affari illegali – non è segnato solo dal duello che si consuma nell’aula dibattimentale, dove secondo codice si devono formare le prove che dimostrano la colpevolezza, o in caso di insussistenza, l’innocenza di chi si trova alla sbarra. Ma s’incrocia inevitabilmente con un avversario-alleato in più, che non concede appelli e impossibile da piegare: il trascorrere del tempo. Il processo Ciclone su appalti e tangenti a Montesilvano, che ha segnato un’epoca, chiuso nella maniera più traumatica possibile il percorso politico di un sindaco di centrosinistra eletto con una maggioranza bulgara, e segnato il via ufficiale alla lotta alla corruzione griffata dal pm Gennaro Varone, non fa eccezione.

Domani, a 22 mesi dal suo abbrivio in tribunale, verrà pronunciata una sentenza che è difficile non avvertire come affannosa, in ritardo seppure frutto di un’inchiesta lampo (un anno e mezzo per produrre la richiesta di rinvio a giudizio). A sei anni dall’arresto di Enzo Cantagal lo, la giustizia si appresta a formulare – attraverso il collegio presieduto da Carmelo De Santis – il primo verdetto, frutto di quella che il docente di diritto penale Guglielmo Marconi ha definito con acutezza «una normalità patologica», sintesi che racchiude la beffa, il paradosso e insieme l’ordinarietà di un sistema che non riesce a garantire esiti in tempi più brevi. Ciclone – 32 imputati – è un processo di “mezz’età”, destinato a mostrare le rughe in appello e a decadere “naturalmente” durante il giudizio di legittimità in Cassazione, quando i capi d’imputazione saranno stati abbondantemente asciugati dalle prescrizioni.

C’è da sorprendersi pensando che l’udienza preliminare (ottobre 2008-luglio 2010) – udienza filtro per antonomasia, concepita per snellire i processi – è durata quasi quanto il dibattimento? E che un anno si è consumato solo tra omesse notifiche? Dall’arresto di Cantagallo, il 15 novembre 2006, c’è stato il tempo di registrare un’altra amministrazione, di centrodestra stavolta, travolta da inchieste giudiziarie ancora ben lungi dal concludersi senza che quella precedente abbia ancora conosciuto la propria sorte. E così, in una sorta di destino comune e incrociato, seppure con tempi e storie differenti, Montesilvano aspetta ancora di sapere se gli amministratori che l’hanno guidata negli ultimi lustri abbiano strizzato l’occhio all’illegalità o se trattasi di teoremi.

Che cos’è Ciclone, termine mutuato a ottobre 2006 dalla cancelleria del pm-incubo dei politici per annunciare il tifone incipiente? Il meccanismo ricostruito dalla procura e dalla squadra mobile diretta all’epoca da Nicola Zupo prevedeva trucchi per premiare, con appalti senza gara, i big del mattone che si sdebitavano con elargizioni sotto forma di denaro, incarichi professionali remunerati, pacchetti di voti, contributi per attività e iniziative di tipo politico. Ai costruttori sarebbe stato permesso lo «sconto» degli oneri concessori.

Secondo l’accusa, l’imprenditore di turno si impegnava a realizzare, per il Comune, opere di urbanizzazione (marciapiedi, parchi, luci) che poi, però, venivano spostate in altri luoghi e trasformate in appalti. Alla base del patto, la corruzione. Che avrebbe coinvolto ex sindaco, ex assessori, tecnici e costruttori. E’ questa, in sintesi, Ciclone, che la difesa ha cercato di smontare ipotizzando una liaison tra l’ex sindaco arrestato e la moglie del principale investigatore, che pure più volte all’epoca offrì alla procura la possibilità di sottrarlo dalle indagini per evitare future e scontate contestazioni di incompatibilità. «L’indagato non può scegliersi chi indaga su di lui», la replica, che ha fatto storia, dell’allora procuratore Nicola Trifuoggi. E’ stato il tema principale della difesa, quello che ha affollato l’aula.

Centinaia di testimoni si sono alternati davanti al collegio, come è giusto in un sistema garantista che deve consentire alle parti di calare tutte le carte in mano. Quello stesso sistema che però non ha mai trovato il tempo per dare voce a un ex sindaco, Enzo Gallerati, entrato dalla porta principale nell’inchiesta con gravi accuse a carico e oggi, ancora prima che la sentenza sia pronunciata, già uscito dal processo dalla porta di servizio. Quella della prescrizione, appunto.

“Soluzione” che scontenta l’accusa, convinta dell’esistenza di un “Sistema Montesilvano” dove «i costi si gonfiavano senza nessuna forma di controllo pubblico» e dove «i soldi venivano spesi a occhio», come ha denunciato in aula Varone. Ma anche l’imputato, al quale solo il corpo della motivazione – che sarà depositata a primavera già avviata – potrebbe restituire la piena e totale illibatezza giudiziaria.

©RIPRODUZIONE RISERVATA