Omicidio Crox, trovato l’accordo: arriva il primo risarcimento

1 Novembre 2025

Ragazzino ucciso nel parco, la famiglia accetta alla vigilia del processo di secondo grado. Già depositata la somma proposta dai legali del primo accoltellatore 

PESCARA. Alla vigilia del processo d'appello che si terrà all’Aquila il 10 novembre per l’omicidio del sedicenne Christopher Thomas Luciani, ucciso con 25 coltellate all’interno del parco Baden Powell di Pescara il 23 giugno 2024 da due 17enni, arriva un passaggio tecnico che ha una duplice valenza, sia ai fini processuali, sia ai fini sociali e morali. I genitori del primo accoltellatore, padre impiegato e madre avvocato, hanno risarcito la famiglia di Crox, come lo chiamavano gli amici, e dunque la nonna che lo ha cresciuto: un risarcimento danni già depositato agli atti che i giudici di appello saranno chiamati a esaminare.

I legali della famiglia dell’imputato più gravato, quello che colpì per primo Crox e che lo portò subito alla morte quasi in contemporanea con gli altri colpi inferti dall’amico, e che in primo grado con il rito abbreviato è stato condannato a 19 anni, 4 mesi e 10 giorni di reclusione (il complice a 16 anni), hanno portato avanti un delicato lavoro di mediazione e di ricostruzione di un rapporto che sembrava insanabile tra le due famiglie.

«Ciò è stato possibile», scrivono gli avvocati Massimo Galasso e Roberto Mariani, «grazie alla disponibilità e alla sensibilità della nonna del povero Christopher, Olga Cipriano, che insieme al nostro assistito e alla sua famiglia, hanno espresso la volontà di intraprendere un percorso condiviso volto alla progressiva ricostruzione del rapporto, attraverso la organizzazione e partecipazione congiunta a iniziative finalizzate alla sensibilizzazione degli adolescenti su tematiche di rilevanza sociale, manifestando la comune disponibilità a intraprendere percorsi condivisi di giustizia riparativa con l’eventuale supporto delle competenti istituzioni». Ovvio che questo risarcimento incide anche in ambito processuale, con la difesa impegnata a trovare il modo di contenere ancora di più la pena per il loro assistito.

E lo confermano gli stessi avvocati quando sostengono che «tale iniziativa si innesta nel solco della difesa del minore, del resto non abbiamo mai messo in discussione le responsabilità dirette del nostro assistito. Piuttosto, la nostra attività dinanzi alla Corte di Appello sarà ancora più determinata nel cercare di ottenere una pena più aderente alle condotte poste in essere e soprattutto alla minore età del nostro assistito. Una pena che possa avere, in concreto, finalità rieducativa e di reinserimento nel contesto sociale, finalità non tenute in debito conto dal tribunale per i minorenni».

Ai due condannati il giudice Cecilia Angrisano, presidente del tribunale dei minori, ha contestato l'omicidio aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi: un debito di circa 300 euro per droga, del “fumo” che la vittima avrebbe dovuto comprare per conto del gruppo, perché quel maledetto giorno nel parco i due assassini erano con quattro amici con i quali, dopo l’omicidio, andarono al mare.

Il povero Crox venne raggiunto in totale da 25 coltellate e poi preso a calci e sputi e deriso mentre quasi non respirava più: tutto questo per una «questione di rispetto». Una vittima che, al contrario dei due assassini, che una famiglia ce l’avevano, era cresciuto con l’amore della nonna, ma con una mamma lontana e un padre mai conosciuto. Un ragazzo, Crox, come spiega il giudice nei motivi della sentenza, «privo di tutte le condizioni favorevoli mai mancate ai suoi assassini».

«Gli imputati», si legge in sentenza, «hanno direzionato i colpi tutti in zone vitali, anche mentre la vittima era a terra morente ed è certo che, sebbene fossero consapevoli di aver realizzato l’intento omicidiario, abbiano continuato a infierire insistendo nell'infliggere un impressionante numero di violenti fendenti (che hanno persino contato per poi vantarsene) a cui hanno aggiunto ulteriori e diversi atti di gratuita violenza con l’unico scopo di infierire crudelmente sulla vittima».

Quanto all’aggravante dei futili motivi, il giudice evidenzia «la discrepanza, non solo tra debito e bene della vita, ma tra il comune sentire e l’idea stessa che la violenza, per di più efferata, sia la misura di riparazione di torti veri o presunti. La futilità del motivo è evidente nella ricerca spasmodica di placare la propria ira per il mancato rispetto patito. Un rispetto preteso non per tutelare una propria supremazia territoriale e ambientale nel contesto criminale, bensì per riempire la propria autostima con atteggiamenti da duro». Disturbi psicologici più volte evidenziati dalla difesa, tanto da chiedere una perizia psichiatrica suppletiva sulla quale i giudici di appello dovranno esprimersi prima di entrare nel pieno della discussione.

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