ONDE
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In bici. Pedalo affannosamente sul marciapiede del lungomare. Ho il cervello che mi pulsa, un dolore lancinante all'emisfero destro. Sfilo le cuffie dell'Ipod per cercare di alleviare il fastidio. Più accelero e più la testa sembra esplodere. Un ottimo modo di passare il compleanno.
Mi dirigo verso la golena del fiume, una striscia di fango tossico che taglia in due la città.
Quelle che prima erano semplici fitte mutano in qualcosa di diverso, come se un elemento estraneo volesse insinuarsi tra le mie sinapsi. Gli spasmi si sono trasformati in sibili lontani, soffocati dalla materia grigia.
Il ponte che collega i due moli è sempre più vicino. L'assalto al cervello ancora più forte. Ora riesco a distinguere ogni singolo impulso, sembrano quasi onde sonore provenienti da un radar.
Mancano poche decine di metri alla banchina del fiume. Sto per impazzire. Mi fermo e scendo dalla bici tappandomi le orecchie per fermare l'insistente martellamento acustico che mi rimbalza nel cranio. Ad un tratto cedo, sento la testa implodere, resto immobile e con un senso d'impotenza simile a quello che si prova durante un terremoto.
Mi sento catapultato altrove, in un altro luogo, in un altro corpo…
Sono in mare aperto. Ho la vista annebbiata. Cerco di riprendere il largo dalla costa, ma i miei sensi sono offuscati. Non riesco a respirare. Ho l'esofago ostruito da tutta la merda galleggiante dell'Adriatico. Alla deriva. Le mie enormi fauci non possono fare a meno di incamerare stralci di reti da pesca, buste di plastica, lattine e bottiglie. Immondizia che arriva dalla costa, che vedo sempre più vicina mentre perdo i sensi. Ho la forza per emergere un'ultima volta ed emettere il soffio finale, prima che la mia testa si abbandoni pesante alle onde.
…recupero i sensi e resto impietrito a fissare l'orizzonte. Cerco di realizzare quello che ho vissuto. Era il dolore di qualcun altro. Ma di chi?
Cazzo! Mi giro di scatto a guardare l'edificio alle mie spalle. Un museo cittadino, quasi dimenticato dai residenti, tappa solo per scolaresche e qualche sporadico turista.
All'interno del museo è custodito lo scheletro di un capodoglio che, ormai morto, si spiaggiò sulla costa a sud della città nello stesso giorno della mia nascita, ventinove anni fa.
Nonno mi ci portava sempre per il compleanno, era il nostro rituale. Non prima però d'avermi raccontato per l'ennesima volta la sua storia preferita, quella del Pequod e del capitano Achab.
Decido di entrare nel museo puntando il capo in avanti, nell'illusione di poter fare resistenza alle onde sonore che mi tempestano.
Mi trovo da solo nel salone dove è ospitata la balena. E' sospesa in aria, retta da cavi ancorati al soffitto. Nel silenzio assoluto del museo sento qualcosa scricchiolare, piccoli movimenti. Poi arriva il boato. Dallo sfiatatoio dell'enorme mammifero erutta un getto d'aria che scoperchia la stanza rompendo gli ormeggi della carcassa, che resta in aria a fluttuare, come un rapace preistorico.
Mi metto al riparo dalla pioggia di detriti, mentre la sua ombra mi avvolge. Osservo il volo verticale con cui lascia il museo e sparisce dalla mia vista. Per tetto, sul mio naso, resta un cielo nero e minaccioso.
Esco di corsa dell'edificio per non perdere di vista il mucchio d'ossa. Faccio appena in tempo a vederlo perforare una barriera d'acqua, quella formata da un'onda anomala, alta quanto un grattacielo, che si dirige verso la città.
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