Pescara, processo D'Alfonso: pm Varone sotto sorveglianza

Alla vigilia della decisione per i 24 imputati, il pm trova in casa una lettera diffamatoria
PESCARA. La sorveglianza assegnata dalla questura al pm Gennaro Varone accende la vigilia della sentenza spartiacque per Lu ciano D’Alfonso e per la città: quella che cadrà domani, biscardiano giudiziario del processo a D’Alfonso e ai 23 imputati le cui udienze sono cadute sempre di lunedì. Le macchine della polizia che solitamente pattugliano la città di notte passeranno più volte sotto casa del pm Varone su disposizione del questore Paolo Passamonti perché il magistrato, guida dell’accusa nel processo per presunte tangenti, ha sporto querela contro ignoti per due pagine dal contenuto diffamatorio trovate nell’ascensore di casa. Due fogli in cui un anonimo avrebbe scritto «proteggi i criminali e indaghi gli onorati cittadini» e che hanno spinto la questura ad assegnare al pm delle grandi inchieste quella che si chiama «vigilanza generica radio controllata», una forma più dolce della scorta.
L’ultima udienza. Alle 9.30 di domani inizierà l’ultimo round per D’Alfonso e i nomi di spicco – dal dirigente Guido Dezio agli imprenditori Carlo e Alfonso Toto – finiti nell’inchiesta in cui il pm ha visto del marcio nel rapporto tra un sindaco e gli imprenditori, ha trovato la corruzione in quelli che per le difese sono gesti di amicizia, ha parlato di tangenti in cambio di appalti in quelli che per gli avvocati sono contributi regolari: ha messo sotto accusa l’intera macchina amministrativa «improntata alla massima torbidità» mentre per l’altra parte, Varone, ha preso un abbaglio. Un muro contro muro che sarà sciolto domani dal collegio giudicante presieduto da Antonella Di Carlo e dai giudici Paolo Di Geronimo e Nicola Colantonio che, dopo il dibattimento iniziato il 14 aprile 2011 e dopo aver ascoltato 600 testimoni tra accusa e difesa, decideranno se l’ex sindaco arrestato ai domiciliari il 15 dicembre deve essere condannato o assolto.
Villa, conti fermi, imprenditori. Si è appellato al «talento» del Tribunale, il pm, alla capacità, come ha detto, «di andare oltre il 2 più 2». La base a cui dare corpo, Varone, l’avrebbe fornita attraverso le consulenze sui conti fermi di D’Alfonso, con la denuncia della barista – nel caso di Dezio accusato di aver preso una tangente da 20 mila euro– con la perizia sui prezzi giudicati farsa sulla casa di Lettomanoppello e con le testimonianze degli agenti della Mobile. Chi è l’ex sindaco per Varone? Non è l’amministratore trasparente ma l’uomo, come disse il suo consulente, che «ha speso 96 euro in un anno con la carta di credito» perché «D’Alfonso ha sempre preso soldi in nero», dice Varone, perché «D’Alfonso chiede e l’imprenditore dà».
Lettomanoppello per D’Alfonso. Nella camera di consiglio entreranno le perizie della procura, quelle che dicono, ad esempio, che la villa di Lettomanoppello non può essere stata pagata 320 mila euro ma che un imprenditore, in questo caso Cardinale, sarebbe stato compiacente. Ma nella camera di consiglio entrerà anche l’altra metà del cielo: la strenua difesa di D’Alfonso. Persone di Lettomanoppello, consiglieri e imprenditori sono arrivati nell’aula per raccontare dell’attivismo di D’Alfonso per la città, della sua capacità di imbastire relazioni per Pescara, della riconoscenza verso un sindaco stimato e della solidarietà tra compaesani. «Mi chiamo Giustino Di Donato, sono titolare della ditta Area legno e ho fornito materiali gratis a D’Alfonso perché ero amico di suo fratello», è stato solo uno dei tanti testimoni che ha raccontato di aver fatto regali a D’Alfonso. C’è stata la negoziante che ha detto di aver fatto lo sconto al sindaco per prestigio, ci sono stati i consiglieri che hanno raccontato di un’agenda zeppa di incontri perché «D’Alfonso era così»: riceveva in garage, sulle scale per non dire di no a un cittadino, non per tramare.
Il rapporto con Toto. I Toto non hanno mai partecipato alle udienze. Se c’è un rapporto simbolo della corruzione è per Varone quello tra l’ex sindaco e i Toto; se c’è una prova dell’onestà di D’Alfonso è per la difesa il legame con gli imprenditori. Quel rapporto ha occupato molta parte del processo con Varone che ha fatto l’elenco dei voli e dei viaggi gratis e con D’Alfonso che nel suo interrogatorio ha finito per dire: «Ero tra i dami di compagnia dei Toto», una dalfonsata per chiarire perché con Toto non tirava fuori un euro. Amicizia o voli per appalti? E’ anche su questo che rifletteranno i giudici dopo aver ascoltato i difensori che hanno insistito che nessuno «aveva capito nulla del bando dell’area di risulta» e dopo aver assistito a una rara udienza scontro tra accusa e difesa, quella in cui il consulente del pm riconobbe «che l’offerta dei Toto dal punto di vista dei parcheggi era vantaggiosa per il Comune».
Il testa a testa sulla morale. Il processo D’Alfonso domani arriva alla conclusione con una sentenza che dirà anche qual è il confine tra un sindaco volonteroso, spregiudicato per la città – come l’ha dipinto la difesa – e l’uomo che ha commesso reati come vuole Varone. Quasi 2 anni di udienze in cui l’ultimo testa a testa tra il pm e D’Alfonso si è giocato sul terreno della morale: Varone ha dato dello svergognato a D’Alfonso perché «non ha provato disagio a raccontare di ricevere regali dagli imprenditori» e l’ex sindaco ha risposto: «I conti fermi? E’ stata la mia famiglia a mantenermi. Ero l’unico soldato abile a gestire le risorse».
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