Tangenti in Comune, il pm chiede sei anni per D'Alfonso e Dezio

10 Dicembre 2012

Dopo 20 mesi di udienze, oggi l’accusa formula le richieste per l’ex sindaco e gli altri 23 imputati

PESCARA. Sei anni per Luciano D'Alfonso e Guido Dezio, due anni e sei mesi per Carlo e Alfonso Toto, interdizione dai pubblici uffici per tutti e quattro. Sono queste le richieste formulate dal pm Gennaro Varone che sta concludendo la sua requisitoria nel corso dell'udienza del processo Housework che vede imputato l’ex sindaco di Pescara accusato di concussione, corruzione, truffa, falso, peculato e associazione per delinquere con altre 23 persone tra cui il suo ex braccio destro Guido Dezio e gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto.

Il pm Varone ha inoltre chiesto tre anni di reclusione per l’ex dirigente comunale Giampiero Leombroni; due anni e sei mesi per l’imprenditore Massimo De Cesaris, per Angelo De Cesaris e per Alberto La Rocca; due anni per l’imprenditore Rosario Cardinale, per Marco Mariani, per Francesco Ferragina, per l’ex direttore generale del Comune, Antonio Dandolo; un anno per Marco Presutti, ex portavoce di D’Alfonso, per Pierpaolo Pescara e per l’attuale dirigente Marco Molisani; un anno e sei mesi per Giacomo Costantini, Enzo Perilli, Fabrizio Paolini, Nicola Di Mascio, Pietro Colanzi e Luciano Di Biase; un anno e otto mesi per Vincenzo Cirone; due mesi per Giampiero Finizio. Prescrizione per Vincenzo Fanì.

Per gran parte degli imputati è stata chiesta dalla procura anche l’interdizione dai pubblici uffici. Per Dezio, come per D’Alfonso, l’interdizione perpetua. Per l’ex sindaco, presente come sempre in aula, il pm ha anche avanzato la richiesta di confisca dell’immobile in sequestro, villa di Lettomanoppello ( Pescara).

L’inchiesta chiamata «Housework», che il 15 dicembre del 2008 portò all’arresto di D’Alfonso e alla successiva caduta della sua giunta di centrosinistra, riguarda presunte tangenti negli appalti pubblici al Comune di Pescara e si basa su vari filoni tra cui l’appalto per l’area di risulta e quello per i cimiteri cittadini. Contestazioni che il pm Varone ha illustrato in quasi sette ore di requisitoria, lunedì scorso.

Una requisitoria che Varone ha incentrato sulla «gestione torbida di D’Alfonso», a cominciare dal presunto scambio corruttivo con gli imprenditori: soldi in cambio di appalti per i costruttori. Lunedì scorso Varone ha cominciato dalla villa di Lettomanoppello dell’ex sindaco, quella realizzata dalla ditta Eredi Cardinale dall’imprenditore Rosario Cardinale, anche lui imputato, e che per l’accusa sarebbe stata pagata da D’Alfonso a prezzi stracciati. «Cardinale pagava 55 mila euro per il materiale e ne incassava 25 mila. Cardinale», ha sostenuto Varone, «ha regalato un fiume di denaro a D’Alfonso: ha speso 270 mila euro e ne ha incassati 210 mila euro». In cambio, sostiene il pm, Cardinale ha lavorato per il Comune dal 2004 al 2006.

E poi i rapporti tra l’ex sindaco e la famiglia Toto a cui, nel corso di numerose udienze, D’Alfonso ha ricordato di essere legato da una salda amicizia. «Ma l’amicizia non è un’esimente del reato di corruzione», ha detto Varone nella requisitoria di lunedì scorso, illustrando il presunto scambio che chiama in causa gli imprenditori: viaggi e voli gratis per l’appalto dell’area di risulta. Secondo l’accusa, «il bando è stato scritto a 4 mani tra Toto e il Comune. Ecco perché partecipò solo la ditta di Toto».

Ma nella sua requisitoria, Varone si è soffermato anche sugli altri temi: l’appalto del cimitero «designato», la lista Dezio, la pubblicità istituzionale «usata per altri scopi» e gli accertamenti bancari sull’ex sindaco e la sua famiglia.

«Tutte bugie», ha affermato Varone riferendosi a D’Alfonso e a quel denaro che sarebbe arrivato dalla sua famiglia.

E i conti di D’Alfonso sono uno dei nodi principali su cui punta l’accusa: secondo il pm nel 2004 e nel 2005 i conti correnti dell’ex sindaco sarebbero stati dormienti, con «inverosimili uscite» per coprire le esigenze quotidiane di una famiglia: quelle risorse sarebbero state attinte da altri canali. Secondo la difesa, invece, D’Alfonso ha potuto contare sul sostegno dei genitori, della zia, dei fratelli e della nonna. ©RIPRODUZIONE RISERVATA