Tocco, dramma di un operaio: "Sono senza stipendio e con un figlio autistico"

La Cir chiude i battenti, il dramma di un operaio: non potrò più garantire le cure, 180 famiglie saranno ridotte sul lastrico
TOCCO DA CASAURIA. Ci sono storie di famiglie che resteranno senza stipendio dietro la grave situazione della Compagnia italiana rimorchi (Cir), la fabbrica di Tocco da Casauria ormai in procinto di chiudere definitivamente i battenti. E’ a questo quello che vanno incontro le 180 famiglie dei dipendenti del colosso metalmeccanico in forza allo stabilimento di Tocco e di altrettante maestranze dislocate nelle sedi di Bussolengo (Verona) e Nichelino (Torino). Famiglie che vivono in massima parte con quel solo stipendio ricevuto dalla Cir al quale i lavoratori hanno cercato con tutti i mezzi di rimanere legati. Famiglie con storie diverse, ma legate dallo stesso filo conduttore: rischiano di essere perseguite dalle banche per restituire le quote di cassaintegrazione che hanno ricevuto su loro stessa garanzia e di perdere anche la casa per chi ha acceso magari un mutuo sulla base dello stipendio da metalmeccanico Cir. Famiglie con figli che vanno a scuola e molte che affrontano anche disagi di salute dei propri figli e che perdono, con lo stipendio, anche le speranze di poterli seguire in modo adeguato. Antonio Leone di Tocco, che ha sposato Cristina, una ragazza romena, è padre di un bimbo autistico e l'unico reddito della famiglia arriva dalla busta paga Cir . O meglio arrivava. «Siamo rimasti fiduciosi fino ad oggi con la prospettiva che l’azienda potesse riprendersi. Abbiamo accettato di sottoscrivere a nostro nome la cassaintegrazione confortati dall'azienda nella speranza di poter tirare avanti il più possibile in attesa di tempi migliori. Forse siamo stati ingannati?», si domanda Leone, operaio nell’azienda. «Non abbiamo mai voluto credere che anche per la Cir non ci fosse più niente da fare? Ci siamo illusi o forse ci hanno illuso. La realtà di oggi è che per noi non c'è più alcuna prospettiva e, dunque, come posso sentirmi con la responsabilità di dover mantenere una famiglia e di assicurare a mio figlio le cure necessarie per la sua situazione?. Fare assemblee dei lavoratori, condividere l'impegno dei politici e dei sindacalisti», prosegue l’uomo, «per risolvere o alleviare le nostre situazioni, sembra ormai una routine che fa parte del nostro tempo. Una consuetudine alla quale non ci possiamo sottrarre. Ma vorrei far riflettere sullo stato d'animo dei lavoratori». Leone è un fiume in piena, ma vuole andare al cuore del problema. «Vorrei solo dire a chi, imprenditori, dirigenti, politici, amministratori e a chiunque altro pensa di stare nella stanza dei bottoni, che hanno in mano le nostre vite e quelle dei nostri figli che meriterebbero di essere un po’ distinte dai meccanismi del profitto. Fra qualche mese 360 lavoratori saranno in condizioni di povertà».
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