Uccise Rigante, l’ultrà biancazzuro, 13 anni fa: Ciarelli esce dal carcere e chiede di “riconciliarsi”

L’assassino dell’ultrà 24enne ottiene la semilibertà ed è tornato a casa, ora fa volontariato. L’avvocato: «Spera di avviare una mediazione con i familiari della vittima»
PESCARA. Tredici anni dopo l’omicidio di Domenico Rigante, l’assassino dell’ultrà biancazzurro ha ottenuto la semilibertà ed è tornato a casa. Massimo Ciarelli, oggi uomo di 42 anni (37 ne avrebbe Domenico), di giorno va a fare volontariato in un’associazione dell’hinterland, il pomeriggio va a casa dalla famiglia e la sera torna a dormire in carcere al San Donato. «In questi anni Ciarelli ha svolto un ottimo percorso», dice il suo legale, l’avvocato Laura Filippucci, «in carcere ha ricevuto la stima di tutti, un atteggiamento sempre rispettoso, ha svolto attività lavorativa, ha seguito i corsi. Sono ormai quattro anni che gli vengono concessi i permessi proprio per questa sua condotta, e quattro mesi fa ha ottenuto la semilibertà» Prima a Perugia, dove per due mesi ha svolto attività di volontariato in un’associazione che gestisce bambini con disabilità gravi e adesso a Pescara. «L’esperienza a Capo d’Arco, a Perugia», riprende l’avvocato, «è stata molto positiva per lui, ma lì non aveva nessuno. Abbiamo chiesto il trasferimento a Pescara, dove c’è la famiglia, e considerando che sono ormai 4 anni che viene in permesso senza aver mai dato un problema, gli è stato concesso subito». Riparte così la seconda vita di Massimo Ciarelli che, «come emerso durante tutti gli accertamenti e gli incontri svolti con psicologi ed esperti in questi anni, ha dato segni di resipiscenza», spiega l’avvocato. Si è ravveduto. E adesso chiede solo una cosa: poter avviare un percorso di mediazione con la famiglia della vittima. «Ne abbiamo già fatto richiesta, ma va organizzata. Tanto per cominciare vanno autorizzati gli enti ad attivare i relativi percorsi, ma per ora», puntualizza l’avvocato Filippucci, «manca l’accreditamento degli enti stessi, le associazioni. In Abruzzo ce n’era una, ma poi non hanno rinnovato. Noi ci stiamo muovendo in tutta Italia per arrivare a questo, per riuscire in qualche modo a ripristinare una vita in pace».
Una “pace” che sarebbe anche con la città che nei giorni successivi a quell’omicidio ha vissuto una stagione di odio e rancore come mai prima. Settimane di tensione altissima, alimentata anche dalla fuga di Ciarelli che si consegnò alla squadra Mobile di Pierfrancesco Muriana dopo una latitanza di cinque giorni, e a cui fece seguito il corteo fin sotto al Comune con centinaia di persone che urlavano all’allora sindaco Albore Mascia di mandare via i rom da Pescara. E intanto sono passati 13 anni. La piccola Angelica, che allora aveva sette mesi, oggi va alle medie e ha imparato a conoscere il padre solo dalle foto e dai racconti di chi non l’ha mai dimenticato, come pure la sua curva nord. Domenico era con il fratello gemello Antonio e altri tifosi, quella sera del 2012, quando Ciarelli piombò in piazza Grue a bordo di una Fiat 500 insieme a due suoi cugini e con altri due arrivati in scooter. Una spedizione punitiva per dare una lezione ai “gemelloni” Domenico e Antonio Rigante perla pesante umiliazione (come ha sempre sostenuto la difesa) inflitta a Ciarelli la sera prima a Pescara Vecchia. È per questo che i cinque irrompono nell’appartamento a piano terra di via Polacchi dove sanno che ci sono i tifosi. Massimo impugna una pistola. È il fuggi fuggi. Domenico si nasconde sotto il tavolo, Ciarelli lo colpisce ripetutamente con il casco e mentre lui lo implora di lasciarlo stare, che ha una figlia di pochi mesi, Ciarelli gli spara sulla zona sopra glutea provocandone, poco dopo, la morte. Un omicidio per il quale l’allora ventinovenne fu condannato in primo e secondo grado a 30 anni di carcere, scesi a 17 dopo l’annullamento dell’aggravante della premeditazione da parte della Cassazione e la successiva rimodulazione della pena, nel 2017, da parte della Corte d’assise d’appello di Perugia. Oggi, dopo 13 anni, Ciarelli ha praticamente quasi finito di scontare la sua pena, dopo aver collezionato, proprio per la sua condotta irreprensibile, circa 3 anni di sconto: calcolando che ha diritto a uno sconto di 45 giorni ogni sei mesi di reclusione, con la liberazione anticipata gli restano dunque pochi mesi per l’omicidio. Poi, sì, ci sono altri anni di cumulo pena per cui il suo avvocato è già al lavoro. Ma la sua vita può ripartire. ».