UN'ALTRA AVVENTURA DELL'ISPETTORE BELLI

13 Maggio 2013

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Vi è mai capitato di rimanere al buio e avere la sensazione di non essere soli, e c'è qualcuno o qualcosa che, prima o poi, vi toccherà? A me, sì. "Perché sei un coglione" direbbe spicciolo mio padre. E stavolta avrebbe ragione: sono caduto nella trappola di un ladruncolo da quattro soldi, mi sono venuti i calli ai piedi e ho sudato come un cavallo in calore per inseguirlo. Ma poi i cavalli andranno o no, in calore? Ma chissenefotte, so solo che alla centrale mi rideranno dietro per almeno un mese e la Dott.ssa Carli mi schiferà più del solito. Insomma gli altri col sedere al caldo e io dentro questo fottutissimo anfratto. Mancano solo il bue e l'asinello. Tutto per il bastardo che stavamo braccando, Borrelli e il sottoscritto. Soltanto che io, "Er mejo di tutti", ho preso una strada diversa, scorticandomi le mani tra rovi e spine, cadendo mille volte perché io, io sono un uomo di città, non di montagna. Poi è venuto giù il diluvio e la mia salvezza è stata questa grotta. Ormai fuori sarà sera, ho freddo, e sono pure solo perché soltanto i coglioni restano soli. Mi sono spinto troppo all'interno, ho perso l'orientamento, ho il fiatone e mi si è annebbiato il cervello. Devo ragionare, stare calmo. "Sangue freddo, sei sempre un ispettore", mi dico. Vado a istinto, non mi resta altro da fare. Devo far funzionare i sensi, tutti tranne la vista perché tanto è il buio è impalpabile, eppure si sente la presenza, è opprimente e spaventa insieme. Sento puzza di umido, cioè di acqua piovana. C'è un tic lontano, da qualche parte. Io, l'Ispettore Cesare Belli, il più grande sventa-rapine di tutti i tempi, sto dando i numeri. Allungo le mani con cautela davanti a me e di lato per scansare eventuali ostacoli. Incontro solo pietra fredda. Lo spazio è angusto: provo a muovermi piano, senza rischiare di farmi male. Gli occhi mi bruciano. Scarico un po' di nervosismo con una mentina dimenticata nell'unica tasca non bucata dei pantaloni. Ho un iperproduzione di succo gastrico in gola. Sono demoralizzato. Anche i migliori, piangono. Mi appoggio alla parete, e, a un tratto, ho l'impressione di scorgere un piccolo punto scintillante, vaga lontano come uno spirito inquieto. Provo ad allungare la mano: il luccichio sembra spostarsi, sempre un po' più avanti. Forse è un'allucinazione o è tanta la voglia di tornare alla vita. Per disperazione seguo la stella cometa. Lo so che non ha senso, ma, come un naufrago, non abbandono la scialuppa; così, un passetto dietro l'altro, arrivo in un antro più ampio. Come un cretino inizio a gridare: - Uno, due, tre, provaaaaaaa - e giù un rimbombo da sfondare i timpani. Ora vorrei tanto sentire una voce amica e non il mio eco.

- Ispettoreeeeeee!

- Minchia: Borrelli! Sono quiiiiii - inizio ad avvertire la direzione del suo calpestio.

Improvvisamente vedo la mia luce: quella della torcia che Borrelli mi punta giusto in faccia, non del paradiso, s'intende.

Sto cazzo, ancora un poco e mi cieca, penso.

- Ispettore, ma dove s'era cacciato? L'ho cercata dappertutto- fa lui.

E io, che io avrei voluto infilargli due dita nei suoi, di occhi: - Borrelli, una caverna, c'è. Tutto sto tempo per trovarmi? Vabbè, dài, se sta cosa resta tra noi, non dirò niente al Questore.

- Grazie Ispettore, lei è sempre un signore. Un gran signore.

Caro Borrelli l'unica parola giusta sarebbe stata coglione, dico tra me e me.

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