Di Paolo: «Io, l’abruzzese della sala Var» 

«Da arbitro ho commesso errori perché mal posizionato o per la velocità dell’azione: avrei voluto la tecnologia di oggi»

Aleandro Di Paolo, 45 anni, avezzanese, è uno dei migliori varisti in circolazione. Nel 2019 ha appeso il fischietto al chiodo e si è seduto davanti a un monitor per sezionare ogni istante delle partite. Un mondo tutto da scoprire, dopo anni da arbitro: dai dilettanti fino alla serie A
Di Paolo, quali sono le qualità necessarie per essere un buon Var?
«Non devi mai credere di aver visto tutto o di sapere tutto, perché possono sempre accadere episodi complicati da valutare, per questo motivo mi piace studiare la casistica e mi aggiorno. Lavoro su me stesso, per riuscire a controllare le emozioni. La concentrazione è massimale per evitare di sottostimare qualche episodio. L’esperienza ovviamente è determinante perché più gare hai alle spalle e più sei abituato a vedere immagini e selezionarle per arrivare alla decisione giusta.
Contemporaneamente quanti video osserva il Var durante la partita e come li gestisce?
«Il Var segue la gara da una telecamera principale ma ogni situazione prevista dal protocollo viene ricontrollata da tutte le telecamere che hanno inquadrato l’evento. Il numero delle telecamere varia a seconda di quante, in quell’istante, erano centrate sull’evento da rivedere. Naturalmente in gare come la finale di Coppa o di Supercoppa, nelle quali ho avuto l’onore di fungere da Var, la copertura televisiva era superiore alla media, parliamo di circa 30 telecamere totali a riprendere l'incontro: ma non tutte possono essere utili per chiarire una situazione dubbia».
Mentalmente che cosa cambia passare da arbitro a Var?
«Mi piace ripetere sempre una frase: “l’arbitro è il fulcro delle emotività che gli girano intorno”, è la persona che convoglia l’emozionalità di tutti i contendenti e poi la tira fuori con un fischio. Ecco, il Var è a supporto dei colleghi che scendono in campo e che vivono quella esperienza emozionale e come tale la prima cosa da ricordarsi è che siamo a disposizione del gioco del calcio. Da arbitro sei, volente o nolente, al centro di tutte le attenzioni in campo, sei colui che decide e fischia; da Var diventi colui che deve ricontrollare ed eventualmente correggere una decisione di un collega: hai quindi una doppia responsabilità e fai il massimo per non commettere errori».
Come si prepara un Var alla partita?
«Mi piace studiarla con l’arbitro. Ricordiamo tutte le procedure da seguire in caso di controlli o di ofr (on field review) e preparo la gara anche con il mio Avar e con i tecnici che lavorano con noi: abbiamo un protocollo regolamentare da seguire e lo ripassiamo prima di ogni match per evitare errori nella procedura. Il tutto per affrontare la gara il più preparati possibile. Da un punto di vista mentale è fondamentale essere concentrati e sereni. La calma credo che sia un elemento indispensabile per poter controllare il tono della voce, per decidere senza essere preso dalle emozioni e senza avere fretta».
L’Ifab ha dato il via libera affinché i colloqui arbitro-var vengano ascoltati dal pubblico. D’accordo? Che cosa cambierà?
«Credo fermamente nel progetto Var e ritengo che sia imprescindibile nel calcio moderno, quindi ogni miglioria è un tassello in più per ridurre ulteriormente eventuali errori. Non abbiamo nulla da temere e nulla da cui nasconderci, lavoriamo molto sul linguaggio da utilizzare e ascoltando i nostri colloqui sono sicuro che verrà apprezzato il lavoro che facciamo. Mi piacerebbe vedere nelle persone, nei tifosi, una ancor maggiore fiducia in noi. Siamo esseri umani con la passione per questo sport, cerchiamo di fare del nostro meglio».
Favorevole alle chiamate dalla panchina per rivedere un episodio?
«Torno a ribadire: siamo al servizio del calcio. Quando verranno introdotte nuove regole le applicheremo con la solita dedizione e accuratezza».
Chi e che cosa l’hanno convinta a prendere la strada del Var?
«E’ stato un percorso naturale e anche un po' fortunato. Stavo arrivando a fine carriera perché prima esistevano dei limiti di permanenza nel ruolo arbitrale che ora sono stati tolti. Sono stato inserito in questo progetto che stava nascendo e ho iniziato questa nuova avventura, con tanta fatica ma per fortuna ho avuto sempre l'appoggio dei miei designatori e dirigenti».
L’introduzione del Var non ha spazzato via le polemiche, perché?
«Beh forse erroneamente qualcuno pensava che si potessero eliminare tutti gli errori, la tecnologia ha portato a un ulteriore abbassamento di questa soglia e credo che il risultato sia visibile a tutti. Se pensiamo al fuorigioco, per esempio, con l'avvento del Var non si dibatte più di questo argomento che negli anni pre-Var aveva creato forse le maggiori discussioni moviolistiche».
Come si è avvicinato al mondo arbitrale?
«Ho seguito il corso da arbitro di calcio nel lontano 1993 ad Avezzano, nella mia sezione. Ho iniziato per gioco, per provare un nuovo modo di fare sport. Sono arbitro di calcio da 30 anni... Sono fiero di far parte di questa associazione e famiglia. Ho fatto tanta esperienza nelle categorie minori, prima di passare ai campionati nazionali. Quella esperienza mi ha aiutato a non mollare mai. Sono arrivato in B nel 2011 e ho esordito in serie A nel 2012. Non ho fatto molte presenze in serie A come arbitro, ma mi sono sempre reputato un "buon gregario" a disposizione della squadra. Poi è arrivata questa opportunità e quest'anno sono stato proposto dai miei designatori come Var internazionale (VMO: video match official)».
Con il Var meno errori, in che percentuale secondo lei?
«Sul fuorigioco credo quasi totale. Su altre casistiche ritengo sia stata abbattuta qualsiasi soglia critica. Restano e resteranno sempre episodi sui quali si potrà discutere, che vengono da un percorso decisionale che, non dimentichiamolo mai, è fatto sempre da essere umani e quindi è frutto di una esperienza personale e da una valutazione che seppure oggettiva non troverà mai tutti d'accordo».
L’arbitro si sente più tranquillo da quando c’è il Var?
«Sì! Da arbitro ho commesso degli errori perché ero mal posizionato o perché la velocità dell'azione mi ha ingannato: tutte cose naturali che accadono esattamente come a un calciatore può capitare di sbagliare un goal. Se mi guardo indietro avrei voluto avere il Var a correggere quegli errori chiari che mi sono capitati. Lo scopo del Var e della tecnologia è proprio questo e non c'è alcun collega che non lo vorrebbe».
Il regolamento è unico, ma la sensazione è che l’applicazione in Italia e nelle competizioni internazionali sia leggermente diversa.
«Il regolamento è uno! Ritengo che ci sia una percezione diversa: in termini di falli o di minuti giocati i nostri campionati sono pressoché alla pari con gli altri campionati nazionali europei».
Sarà Var fino a quando?
«Penso solo a lavorare per non fare passi indietro e spero di restare il più a lungo possibile a svolgere questo ruolo. La prossima tappa di questo percorso professionale sarà a maggio, per il Mondiale Fifa under 20».
Un Var che cosa vorrebbe dire ai tifosi?
«Mi piacerebbe trasmettere gli stati d'animo che si vivono da arbitro: le gioie e i dolori, la tensione e la concentrazione, le paure, l’ansia, i sacrifici...e poi le sconfitte e le vittorie professionali. E' un mondo magico quello dell'arbitraggio: se la gente lo conoscesse meglio potremmo cambiare molto. Odio ascoltare giovani arbitri offesi dai genitori sugli spalti, eppure lo vivo ancora quando vado a vedere gli arbitri della mia sezione nelle partite di calcio giovanile. Odio dover commentare con i colleghi le botte prese da un arbitro sui campi di calcio delle nostre città. Non ha senso. Devo molto all'arbitraggio perché mi ha fatto diventare una persona che decide e sceglie».
©RIPRODUZIONE RISERVATA