Presidente della Federcalcio, l'abruzzese Gabriele Gravina

IL PRESIDENTE DELLA FIGC

Gravina: calcio più forte nonostante i cialtroni 

«In caso di nuovo stop, play off o algoritmo per chiudere i campionati»

PESCARA. Sulmona per diverse settimane è stato l’epicentro del calcio nazionale e internazionale. Dalla sua abitazione nella città di Ovidio, infatti, Gabriele Gravina ha mosso i fili che hanno portato alla ripartenza del calcio italiano. Da lì il 66enne presidente della Figc ha partecipato alle video conferenze con governo, Uefa e le altre componenti del calcio. Sempre con un chiodo fisso: riprendere da dove il calcio professionistico aveva lasciato a marzo. E ora che la nave sta entrando nel porto desiderato, si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Senza esagerare. Da uomo di sport sa che vincere è meglio che stravincere; così incassa i complimenti e invia messaggi nemmeno tanto cifrati a chi ha provato a mettergli il bastone tra le ruote, dentro e fuori il mondo del calcio.
Gravina, il calcio che ripartirà è la sua vittoria?
«No. Io ho fatto solo quello che imponeva il ruolo di presidente federale. Ho difeso un mondo, ho immaginato un orizzonte. Non mi sembrava giusto vedere l’Italia ripartire senza calcio. Il Paese è tornato a produrre ed è giusto che ci sia anche il pallone».
Non è stato facile.
«Giovedì ci siamo tolti un peso, con il ministro Spadafora c’è stato incontro in piena armonia. Ma sono state settimane complicate, difficili, ho convissuto con mecenatismo e cialtronismo. Io ho agito con determinazione, ma sempre con prudenza per la tutela della salute».
Il momento più duro?
«Quando la Francia ha deciso di chiudere i campionati e in Italia si alimentava l’onda dello stop a ogni costo. Sembrava un accerchiamento. Ma chi mi conosce sa che non mollo se sono convinto di agire per il giusto».
Il fronte del no alla ripresa del calcio è stato variegato.
«Accetto di confrontarmi con chi ha opinioni diverse dalle mie. Però, ho ascoltato tanta gente che parlava solo perché animata da interessi specifici e personali. La più grande ipocrisia è stata quella di accostare il calcio ai morti, perché, mai e poi mai, abbiamo pensato di prevaricare o giocare offendendo la memoria di chi non c’è più o di chi sta male».
Chi ha remato contro?
«Non è il caso di fare nomi. Ma abbiamo dovuto convivere con fautori del piano B e anfitrioni dell'emergenza, del 'tutto non si può fare’ e che bisognava lasciare tutto così. Sono venuti fuori i veri volti di certi personaggi e io ho capito tante cose, e quanto sia importante accantonare tutta una serie di personaggi apparentemente positivi e che invece sono delle negatività. I nomi li tengo per me, ma credo che siano abbastanza evidenti i confronti che ci sono stati in questo periodo. Comunque ho grandi capacità d'incasso».
In questo momento che cosa accade se un giocatore di serie A viene trovato positivo al coronavirus?
«Il giocatore viene isolato e il resto della squadra va in quarantena, proseguendo gli allenamenti».
Anche quando riprenderà il campionato?
«La speranza è che la curva epidemiologica si abbassi ancora di più per poter modificare il protocollo e avere prescrizioni meno stringenti».
In caso di nuovo stop al campionato?
«Abbiamo sempre limitato quello che in tanti hanno invocato come piano B. Il nostro è un progetto strutturale contenuto in una delibera di consiglio federale che prevede due soluzioni in caso di stop. In caso di sospensione momentanea, faremo ricorso a play off e play out. È un format più contenuto e leggero che garantisce un risultato per merito sportivo. In caso di sospensione definitiva, ricorreremo a un algoritmo che proporremo al consiglio federale l'8 giugno».
Come sarà calcolato l’algoritmo?
«Terrà conto di diversi fattori e sarà comunque legato ai risultati sul campo in modo che si arrivi alla definizione di questo campionato. Sarà una cristallizzazione della classifica, ma in proiezione con la fine del campionato. Ma spero che non ci sia bisogno di farvi ricorso».
A settembre la Nazionale giocherà a porte chiuse?
«In questo momento non ci sono alternative. Aspettiamo gli eventi. In alcune parti d’Europa (la Polonia, ndr) si comincia a parlare di percentuali di spettatori da far accedere negli stadi. Un po’ alla volta sarà questa la strada da seguire compatibilmente con quel che ci circonda».
Una volta ripartito il calcio professionistico si dovrà pensare ai dilettanti.
«Bisogna farlo sostenendo le società. Metteremo a disposizione alcuni fondi, Sibilia (presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ndr) lo sa, ne abbiamo parlato. I dilettanti non vanno lasciati soli».
Il calcio femminile?
«Vorrei che il campionato di serie A femminile avesse la possibilità di concludersi. Sarebbe un momento di esaltazione per il movimento, di rispetto, di pari dignità e di attenzione. Insieme a tutto il movimento femminile stiamo cercando di far sì che, ripartendo ai primi luglio, il campionato possa concludersi».
Farete qualcosa in memoria dei morti a causa del Covid?
«Certamente. In primis, stiamo pensando, con il presidente della Lega Dal Pino, che si debba ripartire in coppa e in campionato con un minuto di raccoglimento e con il lutto al braccio. Dobbiamo dimostrare di avere memoria, perché solo chi ha memoria può crescere. Ma occorrerà fare altro e abbiamo in mente altre iniziative».
La ripartenza del calcio è una bella carta da giocarsi quando ci saranno le elezioni in federazione?
«È un discorso che non mi affascina. C’è tempo per le elezioni. C’era da salvare il salvabile in un momento straordinario e di emergenza. Ho fatto quello che mi imponeva il ruolo. Il calcio è un’azienda che ha chiesto e ottenuto pari dignità in un contesto di ripartenza».
“Non sarò il becchino del calcio” ha detto.
«E, infatti, solo il governo avrebbe potuto chiudere i battenti. Io non l’avrei mai fatto».

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