Ecco il carabiniere che salva opere d’arte dai terremoti

Nel giorno dell’anniversario di Amatrice il tenente colonnello Grasso racconta: «Aiutati dalla gente che in quei giorni ci ha aperto il cuore»
TERAMO. Ci si può mettere sull’attenti anche davanti a un’emozione nell’Italia dei terremoti con i morti da piangere, i feriti da salvare, i dispersi da trovare. Perché in mezzo al niente che resta, oltre le macerie, ci sono storie e facce che non si dimenticano in questo Paese in cui le chiese tremano e i campanili si sbriciolano. Questa è la storia del carabiniere Carmelo Grasso, classe 1968, siciliano di Cerami, in provincia di Enna, nell’Arma dal 1989, passato dall’essere l’addetto alla sicurezza di un tribunale come quello di Palermo, tra magistrati e aule bunker da sorvegliare, al salvare le opere d’arte dalle macerie degli ultimi terremoti del centro Italia. Con il puntiglio del lavoro ben fatto e le lacrime che quando arrivano bisogna lasciarle andare perché, ti dice, «mi creda quando tocchi la morte così non è mai semplice pensare che valga la pena mettere insieme i pezzi di una statua». Dal 2016 al 2021 alla guida del Nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio culturale di Ancona, dal 2016 con competenza su Marche e Abruzzo, il tenente colonnello Grasso (dal 2021 al vertice del Reparto operativo del comando provinciale di Teramo) coniuga lungimiranza e senso di responsabilità dello Stato quando entra nelle chiese pericolanti e scava con le mani per «salvare l’identità di una comunità che molte volte non ha più niente se non il crocifisso della chiesa in cui tutti sono stati battezzati e sposati».
Cominciamo da quel 24 agosto del 2016 quando un altro terremoto martoriò l’Italia centrale con i morti di Amatrice, Pescara del Tronto, Arquata.
«Alle 3.36 mi sveglia mia moglie per la scossa. Chiamo il comandante della compagnia di Ascoli che mi dice “qui è venuto giù tutto”. Insieme a dei colleghi mi metto in viaggio da Ancona e alle prime luci dell’alba sono ad Arquata. Ci fermiamo vicino all’ufficio postale dove su una panchina è stato adagiato il corpo di una bambina da poco estratto dalle macerie. Poi andiamo a Pescara del Tronto che è solo un ammasso di macerie. Facciamo quello che si può fare. Anche pregare per chi non c’è più . E mi creda anche le lacrime finiscono davanti ai morti, davanti ai sopravvissuti radunati nei campi con i bagagli che vagano come passeggeri di un treno che li ha lasciati a terra. La sera del 26 agosto quando anche l’ultimo disperso è stato trovato, organizziamo il giro per tutte le chiese, tutti i luoghi in cui c’era qualcosa da recuperare cercando di mettere in salvo il più possibile senza fare più danni di quelli fatti dal terremoto. Con noi personale delle Soprintendenze, vigili del fuoco, Soccorso alpino. Complessivamente tra Marche e Abruzzo abbiamo recuperato 94mila 247 beni culturali tra crocifissi, statue, pale, ornamenti sacri di altari e cabrei, preziosi documenti che fanno parte degli archivi. Tutto è stato catalogato, inventariato, ripreso, fotografato e inviato nei depositi in attesa dei restauri. Abbiamo tolto tutto quello che c’era per evitare i furti e le rovine di ulteriori scosse. Abbiamo trascorso giorni a girare per i paesi e ovunque ho incontrato comunità ferite che piangevano i morti ma che erano sempre pronte a raccontarti di quel crocifisso o di quella statua che aveva fatto la storia di quel posto, a dirti “faccia di tutto per metterla in salvo, è una delle poche cose che ci resta”. Niente mi ha fatto crescere professionalmente e umanamente come quell’esperienza. Dopo un po’ era la gente che chiamava, che ci affidava quello che era rimasto, sapendo che tutto sarebbe finito in buone man , che prima o poi quelle opere sarebbero tornate nelle loro chiese, nei loro paesi ».
Da Arquata a Valle Castellana, da Pescara del Tronto a Ussita. C’è qualcosa, qualcuno che le è rimasto più nel cuore?
«La morte ti colpisce sempre anche se fai il carabiniere, anche se ti sei fatto le ossa in una terra come la Sicilia. Ma se devo citare qualcosa o qualcuno quel qualcuno è un sacerdote che ora non c’è più. Si chiamava don Francesco Armandi, era il parroco di Arquata del Tronto. In quei giorni combatteva con un tumore ma questo non gli ha impedito di vivere e celebrare messa in una tenda, di girare per tutti i campi in cui c’erano i suoi parrocchiani e non solo. Di essere con noi quando abbiamo recuperato dalle macerie una croce astile dell’anno 1000 chiusa in una teca blindata sepolta sotto la chiesa. Non aveva avuto danni, la teca l’aveva riparato anche se trovare la combinazione per aprire la teca non fu facile. Quando dalle mani dei vigili del fuco e dei miei carabinieri è comparsa la preziosa croce, il viso di don Francesco si illuminò di un sorriso unico che mai potrò dimenticare. Così come non potrò mai dimenticare l’aiuto che ci diede per ritrovare il cabreo della chiesa sepolto dalle macerie. Facevamo dei buchi e in uno di quei tentativi abbiamo trovato anche l’album fotografico di nozze di un cittadino che si era salvato. Era tutto quello che gli rimaneva della sua casa. Dopo vari tentativi siamo riusciti a ritrovare il cabreo della chiesa di Pescara del Tronto e dopo due giorni da quel ritrovamento don Francesco è venuto a mancare. Quella sua forza e determinazione nonostante tutto quello che era successo non riuscirò a scordarli mai».
C’è un episodio , in particolare, che può servire a far capire che cosa significhi recuperare opere d’arte dalle macerie di un terremoto. Durante un sopralluogo a Ussita, nel Maceratese, lei e suoi uomini avete raccolto 340 pezzi che componevano una statua di terracotta, una Madonna con il bambino, la Madonna delle Rose a cui la popolazione era molto legata. Quei pezzi catalogati e conservati sono poi serviti a rimettere insieme la statua esposta per molto tempo anche in una mostra a Castel Sant’Angelo.
«Durante un sopralluogo a San Placido, piccola frazione di Ussita, siamo entrati nella chiesa e ci siamo trovati davanti decine di pezzettini di terracotta di un azzurro bellissimo. Da alcuni pezzi più grandi abbiamo capito che si trattava della Madonna. Come fare per mettere insieme tutti pezzi per ricostruirla? Sembrava impossibile e poi secondo i funzionari delle Soprintendenze presenti c’erano altre priorità. Ma io e miei uomini ci siamo guardati e abbiamo cominciato a raccogliere tutti quei pezzetti. Lo abbiamo fatto una prima volta e lo abbiamo fatto una seconda volta quando siamo tornati per un altro sopralluogo. Quei frammenti sono stati portati ad Ancona, nel deposito della Mole Vanvitelliana e poi all’istituto restauri di Roma dove è stata ricostruita».
Da poco tempo un’altra Madonna, quella inTrono di Tossicia, è tornata alla sua comunità dopo un lungo lavoro di restauro. Anche quella statua è una delle opere d’arte recuperate dai carabinieri?
«L’opera si trovava all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta, detta di Santa Sinforosa, ed è stata recuperata il 29 marzo del 2017 sempre dai carabinieri del Nucleo di tutela patrimonio culturale di Ancona coordinati dai funzionari della Soprintendenza. La statua, danneggiata, si era rotta in diversi frammenti. I carabinieri hanno recuperato i pezzi che sono stati imballati e portati a Roma nei laboratori dell’Istituto centrale di restauro dove i restauratori hanno ricomposto la statua riportandola allo splendore iniziale. La Madonna in Trono con il Bambino al momento non è potuta rientrare in chiesa in quanto ancora inagibile, ma è stato trovato un accordo con la Diocesi per poterla momentaneamente ospitare al Museo delle Genti del Gran Sasso di Tossicia dove a luglio c’è stata una cerimonia a cui hanno partecipato tantissimi cittadini. E in tantissimi erano presenti in piazza la mattina che la statua, scortata da una gazzella dei carabinieri, è tornata in paese dopo il restauro».
Ad Arquata le hanno consegnato la Benemerenza civica proprio per la sua opera nei drammatici giorni del terremoto e di recente ha “prestato” la sua voce a un documentario che accompagna una mostra con alcune delle opere restaurate inaugurata proprio ad Arquata e dal titolo emblematico “L’identità ritrovata”. Ma bastano le opere d’arte a recuperare l’identità di comunità martoriate dai terremoti?
«Le rispondo con un ricordo. Quando giravamo nei paesi distrutti per mettere in salvo le opere d’arte, c’imbattemmo in una statua della Madonna di scarso valore storico perché di recente realizzazione. Non sapevamo se lasciarla lì o portarla via. A un certo punto ci si è avvicinato un uomo, un residente che ci ha detto “Davanti a quella statua mia moglie ha pregato per nostro figlio che non stava bene”. Dopo quelle parole la statua è venuta con noi ed è stata restaurata. Io non so se un crocifisso, una statua, un altare possano contribuire a recuperare l’identità di intere comunità che da un momento all’altro hanno perso persone e cose, in cui i morti sono fratelli, figli, padri, sorelle. Ma ho imparato che la storia grande fa i suoi giri e i piccolo prodigi si consumano altrove, in mezzo al niente, tra le macerie di una chiesa e la forza di una comunità che resiste e si ritrova unita davanti a una statua».
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