Ospedali e reparti in bilico nel teramano, possibili tagli dalla Regione

Decreto Lorenzin, inizia la battaglia per non far chiudere cardiochirurgia, neurochirurgia e malattie infettive

TERAMO. La più decisiva partita che l’intera comunità teramana sta giocando – lontano dal clamore della cronaca – riguarda la sanità. Se il primo tempo riguarda il numero di Asl che prevederà in Abruzzo il nuovo piano sanitario regionale – varato appena l’Abruzzo sarà fuori dal piano di rientro – il secondo riguarda l’applicazione del regolamento Lorenzin. E’ stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 4 giugno e cambia tutta una serie di standard ospedalieri. Decretando, nei fatti, la vita o la morte di reparti e interi ospedali.

Il decreto, che entrerà in vigore il 19 giugno, stabilisce standard di 4 tipi: qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi. I parametri a cui è legata o meno la sussistenza si un reparto, ad esempio, ineriscono agli abitanti nel bacino di utenza o ai volumi di attività e agli esiti (cioè sulla guarigione o meno dei pazienti).

Secondo il decreto entro tre mesi le Regioni devono adottare il provvedimento di programmazione di riduzione posti letto: ne sono previsti 3,7 per mille abitanti. Gli ospedali teramani dovrebbero già essere in regola, non così quelli di altre province: il rischio è che si facciano tagli lineari, cioè che si tagli dappertutto, anche alle realtà virtuose che già rientrano nei parametri come gli ospedali teramani.

Ma non finisce qui. Il regolamento Lorenzin prevede anche una profonda rivisitazione della rete ospedaliera. Ci saranno tre tipi di ospedale: “ base” con un bacino d’utenza da 80mila e 150mila abitanti, quello di primo livello, da 150mila e 300mila, quello di secondo da 600mila a un milione 200mila abitanti. Ovviamente a seconda del tipo l’ospedale è abilitato ad avere o meno servizi e reparti. Ad esempio, la medicina d’urgenza non c’è nell’ospedale “base”. Ecco che si spiega tutto il dibattito legato alla riduzione dei pronto soccorso – in provincia si è detto che ne dovrebbero rimanere solo due – e al progetto di tenere aperti i restanti “part time”, cioè solo 12 ore al giorno. Facendo i conti in provincia di Teramo, con 300 abitanti circa, gli ospedali di primo livello dovrebbero essere solo due, gli altri resterebbero “base”.

Ma la verità è che per garantire un livello di assistenza di qualità la provincia di Teramo dovrebbe riuscire ad avere un presidio di secondo livello. In Abruzzo, secondo gli standard Lorenzin, dovrebbero esserne due e nulla vieta che uno sia a Teramo. Alla sanità teramana manca poco per stare dentro i parametri del secondo: una chirurgia plastica (c’è già un’unità semplice), l’endoscopia digestiva a elevata intensità (ce n’è una, basta potenziarla), la rianimazione pediatrica e neonatale. E poi bisognerebbe far funzionare radiologia, laboratorio analisi e trasfusionale con medici sulle 24 ore, mentre ora è prevista la reperibilità.

Parte del gioco, poi, ruota anche sugli standard per abitanti. Cardiochirurgia e neurochirurgia possono avere un bacino di 600mila-1,2 milioni di abitanti, quindi in Abruzzo ce ne possono essere una, massimo due per specialità: sopravviveranno le teramane? Stesso discorso per malattie infettive: ne possono essere due, ma in Abruzzo ci sono 4 unità complesse. Fra i reparti da tenere d’occhio c’è l’allergologia (da 1 a 2 milioni di abitanti, quindi una in Abruzzo) e chirurgia toracica (da 800mila e 1,5 milioni).

Lorenzin prevede poi che vengano create reti per grandi patologie, dall’infarto all’ictus: in entrambi i casi Teramo ha le carte in regola per attrezzarsi, ma il tempo stringe. Si tratta, in definitiva, di una partita-salvezza, da cui dipende il futuro, e non solo in termini sanitari, dell’intera provincia.

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