Sospeso per 12 mesi senza salario: condanna per mobbing all’Izs
Il tribunale del lavoro accoglie il ricorso bis di un dipendente già vittorioso in un altro procedimento I giudici: «Gli atti compiuti dall’ente indicano un intento vessatorio e punitivo per il lavoratore»
TERAMO. È una seconda sentenza di condanna per mobbing, per ora in primo grado, a scandire il rapporto tra l’Istituto zooprofilattico e un suo dipendente. In passato, infatti, c’è stata già un’altra vicenda giudiziaria tra l’ente e lo stesso dipendente conclusa sempre con una condanna per mobbing che nel 2017 è passata in giudicato dopo il pronunciamento della Cassazione. Successivamente l’uomo ha fatto nuovamente ricorso all’ autorità giudiziaria accusando l’ente di ulteriori atteggiamenti persecutori nei suoi confronti, a cominciare da un provvedimento disciplinare di sospensione per 12 mesi senza stipendio per la mancata partecipazione a un seminario e a la minaccia di ulteriori sanzioni nei suoi confronti.
Il tribunale del lavoro, che di recente ha depositato le motivazioni, ha accolto il ricorso annullando il provvedimento disciplinare e condannando l’ente a un risarcimento danni di circa 40mila euro più il pagamento delle spese legali. «Deve ritenersi», si legge a pagina 14 della sentenza, « che la fattispecie in esame rientra sicuramente nel fenomeno del cosiddetto mobbing verticale, atteso che i comportamenti denunciati hanno carattere sistematico, risultano far parte di un disegno unitario di prevaricazione, sono stati commessi in un considerevole arco temporale, provengono esclusivamente dal superiore gerarchico ed appaiono connotati dal dolo richiesto». Il tribunale nel provvedimento cita i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, una perizia medica, che ha accertato l’esistenza di gravi problemi di salute conseguenza della particolare situazione di stress. «I dati clinico anamnestici», scrivono i giudici, «evidenziano come il dipendente fosse prima delle vicende persona integra, armonica, equilibrata, svolgeva un lavoro impegnativo, di responsabilità, con eccellenti livelli di efficienza e rendimento che gli erano stati riconosciuti nel corso della sua carriera. L’esordio dei sintomi è correlato e successivo all’atteggiamento espulsivo e svalorizzante, contro qualsiasi riconoscimento del valore tecnico e dei rapporti umani che avevano contraddistinto il suo lavoro. L’intenso stress subito tra i problemi lavorativi e la denigrazione sul piano della dignità personale sono gli elementi di un piano orientato ad annullare e travolgere le capacità di resistenza del dipendente e che sono purtroppo continuati nel tempo, anche se gli addebiti sono sempre stati annullati, ma la situazione lavorativa non è cambiata come non è cambiato il comportamento datoriale. Tale aggressione ha travolto le resistenze psichiche facendolo precipitare in uno stato di malattia depressiva tutt’ora presente». E in un altro passaggio si legge: «Gli atti compiuti dall’ente indicano chiaramente un intento vessatorio e punitivo nei confronti del dipendente con attacchi al ruolo lavorativo, con isolamento progressivo sia della persona che della professionalità dell’individuo».
Il dipendente è stato assistito dall’avvocato Sigmar Frattarelli che così commenta: «Dopo la prima causa sfociata in una sentenza definitiva della Cassazione, auspicavamo un ravvedimento da parte dell’Izs e dei suoi dirigenti ma purtroppo così non è stato tant’è vero che le azioni vessatorie e mobbizzanti sono proseguite in modo persino più grave. La vicenda ha sconvolto la vita lavorativa e personale del dipendente il quale ha riportato danni alla salute purtroppo permanenti e anche una irrimediabile compromissione della sua professionalità e della sua carriera lavorativa». All’uomo l’Inail ha già riconosciuto le conseguenze del mobbing come malattia professionale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA