Il teramano Abramo Primo Rossi, internato di 101 anni e l’emozionante abbraccio a Mattarella

Il carabiniere, originario di Colonnella e residente a Pescara, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti ricevuto al Quirinale. Il Presidente: «Patrioti i militari italiani internati che dissero no a Hitler e a Salò»
PESCARA. «Ho conosciuto il suo papà, il ministro Bernardo Mattarella, tra il 1950 e 1955 quando ero in servizio a Castellammare del Golfo». Ha sciolto i ricordi Abramo Primo Rossi, 101 anni, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti di Leoben Donawiz e Trofaiach, nella Stiria austriaca, durante l’incontro privato con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, poco prima dell’avvio delle celebrazioni della prima Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale, svoltasi nella sala dei Corazzieri, al palazzo del Quirinale. «Patrioti, con la maiuscola, furono i 650mila militari italiani internati nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra mondiale». Il loro coraggioso «no» a entrare nell’esercito di Hitler o aderire alla Republica di Salò, «pronunciato a costo della vita o di atroci sofferenze», è per Mattarella «un atto di Resistenza, fondativo della democrazia».
«Allargare lo sguardo sulla ribellione degli italiani agli oppressori è dunque» per il capo dello Stato «un’esigenza di verità. Preziosa anche per comprendere la saldezza delle radici e il valore costituente della Resistenza». «Nel farsi vassallo del nazismo, il regime rese evidente la distanza dai valori più profondi del popolo italiano» conclude Mattarella e chiede «riconoscenza» per un esercito di uomini, di «maestri», che tanto hanno dato «alla nostra libertà e al nostro benessere».
Ex ufficiale dell’Arma dei carabinieri internato nei campi e testimone della prigionia, l’ultracentenario, sposato con Pia Ciocca, tre figli Gabriella, Attilio e Franca Ida, residente a Pescara, sottotenente a titolo onorifico dell’Arma, è stato intervistato dalla studentessa romana Giorgia Palozza, mentre le compagne Arianna Scurto e Nicole Martini, hanno letto un brano della sua testimonianza rilegata in copertina blu. Abramo Rossi, originario di Colonnella (Teramo), accompagnato dalla figlia Gabriella, ha risposto a due domande degli studenti. La prima: «Lei ricorda che a causa del no all’adesione alla Repubblica sociale italiana foste costretti a rimanere a pancia a terra per l’intera giornata. Ci racconta l’episodio?». E Primo Rossi, catturato a Roma dai nazisti a 19 anni il 7 ottobre 1943, da quattro mesi carabiniere a cavallo, insieme ad altri 2.500 colleghi, risponde così: «Ci radunarono nel piazzale e ci dissero che potevamo tornare a casa, a patto di aderire alla Rsi. Nessuno aderì. I nazisti ci tennero per una intera giornata sotto la minaccia delle armi per tentare di convincerci. Il nostro no, per tenere fede al giuramento alla Patria, significò mesi di prigionia, lavori forzati, fame, fatica e sofferenze». La seconda: che significato ha per lei la medaglia d’onore, riservata ai deportati tra il 1943 e il 1945, ricevuta dal presidente Napolitano nel Giorno della Memoria del 2010? Risposta: «La medaglia d’onore porta inciso il mio nome e ne sono orgoglioso. Dopo anni di dittatura abbiamo ricostruito l’Italia fondata sui valori della libertà e della democrazia, eravamo giovani come voi, oggi, ma noi ci siamo trovati in una situazione tragica col Paese distrutto e le speranze finite». Una volta tornato in Patria, per 36 anni è stato in forze nell’Arma dei carabinieri: per 10 anni è stato anche comandante di stazione a Roccaraso, dal 1966 al 1976.
Tra gli altri interventi, quello di Nicola Mattoscio, presidente dell’Associazione nazionale reduci dalla prigionia (Anrp).