Nuova legge regionale sulle valanghe: ora il resort a Rigopiano non avrebbe più i permessi

Ecco i limiti per le zone a rischio: stop a costruzioni, edifici turistici e commerciali. Verrecchia: «Con i se e con i ma non si fa la storia, ma l’obiettivo è la prevenzione»
PESCARA. «Con i se e con i ma non si cambia la storia». Questo lo sa bene il consigliere regionale Massimo Verrecchia, capogruppo di Fratelli d’Italia, primo firmatario della legge regionale sul rischio valanghe in Abruzzo, approvata mercoledì scorso all’unanimità: «Ringrazio tutti i colleghi consiglieri per il voto unanime, che dimostra quanto la sicurezza del territorio e la tutela della vita umana siano temi che uniscono oltre ogni appartenenza politica», dice Verrecchia.
L’ABRUZZO DI RIGOPIANO
Una legge lunga 25 articoli spalmati in 11 pagine che disegna i confini delle aree a rischio, mette limiti alle costruzioni e introduce divieti anche per la pubblica amministrazione. La legge 65 del 2025 cancella la 47 del 1992, approvata a mani alzate, finanziata con 300 milioni di vecchie lire e poi dimenticata in un cassetto. Quella vecchia legge fissava l’obbligo di stilare la Carta valanghe ma nessuno l’ha fatto e quella mancanza è al centro del processo d’appello bis davanti alla Corte di Perugia. Adesso, con la legge 65, la Carta valanghe torna d’attualità.
IL MANIFESTO
L’articolo 3 è il riassunto della legge bis: «Nelle aree considerate come soggette a potenziale pericolo di valanghe è sospesa, a titolo cautelativo, l’edificazione nonché la realizzazione di impianti e infrastrutture ai fini residenziali, produttivi e di carattere industriale, artigianale, commerciale, turistico e agricolo nonché ogni nuovo uso in dette aree che comporti rischio per la pubblica incolumità». Nell’Abruzzo della tragedia di Rigopiano, tornare indietro con il pensiero al 18 gennaio 2017, un mercoledì di tormenta di neve, è normale: se questa legge ci fosse stata già quasi 9 anni fa, forse, il bilancio di quella valanga sarebbe stato un altro: sarebbe andato distrutto un albergo probabilmente vuoto di persone, nessun ospite e nessun dipendente sarebbe morto. «Sì», dice Verrecchia, «forse sarebbe andata così. L’obiettivo di questa legge è proprio la prevenzione e il titolo stesso della legge, che ora parla esplicitamente di “prevenzione e mitigazione del rischio da valanga”, è in linea con l’approccio moderno alla gestione del rischio».
TRE ARTICOLI CHIAVE
In tre articoli, dal numero 12 al 14, si misura la distanza tra quello che è stato e quello che poteva e doveva essere: da una parte, il disastro costato la vita a 29 persone intrappolate in una prigione di neve, cemento, rocce, terra e alberi sradicati – 11 si sono salvati – e dall’altra uno scenario diverso e possibile. «È fatto divieto all’amministrazione regionale e a tutte le altre pubbliche amministrazioni comunque interessate, di rilasciare permessi, autorizzazioni, concessioni, nulla-osta, comunque denominati, con riferimento ad opere o usi relativi ad aree incluse nella Carta di localizzazione probabile delle valanghe». A leggere questa norma adesso, si può pensare che il via libera alla ristrutturazione per cambiare faccia a quel vecchio rifugio di montagna per trasformarlo in un resort a 4 stelle ai piedi del Monte Siella non sarebbe arrivato. E poi c’è l’articolo 13 che mette per iscritto il dovere di sgomberare un’area minacciata da un rischio: «Il sindaco, con propria ordinanza, dispone l’inagibilità e lo sgombero degli edifici esposti ad imminente pericolo di caduta di valanghe e per tutta la durata di esso». E quel mercoledì del 2017 a Farindola l’allarme era alto: livello 3 e di livello 4, dicevano i bollettini Meteomont. Di conseguenza, ecco l’articolo 14 collegato: «Nelle vie e nelle aree di pubblica circolazione, il sindaco, in situazione di imminente pericolo, provvede a limitare, condizionare o interdire la circolazione per il tempo ritenuto necessario». E invece, un giorno prima della valanga, la strada provinciale per Rigopiano è stata pulita soltanto per permettere agli ospiti del resort di arrivare a destinazione con l’aiuto della polizia e della polizia provinciale.
TUTTO IL CONTRARIO
Tra il 17 e il 18 gennaio di quasi 9 anni fa, a Farindola, una zona segnata dal rischio valanghe “marcato 3-forte 4”, è accaduto tutto il contrario di quello che oggi prevede la legge regionale 62 del 2025: dalla costruzione di un resort, amato anche dai vip, proprio alla base di un canalone, quello che sarebbe poi diventato il percorso della valanga dalla forza di 4mila tir a pieno carico; il corteo di spazzaneve e auto delle forze dell’ordine in strada, nei giorni precedenti, per scortare gli ospiti fino all’hotel e alimentare l’affare del turismo montano; infine, il mancato sgombero dell’albergo anche se un’ordinanza firmata quel 18 gennaio non avrebbe avuto alcun effetto visto che l'unica strada di collegamento, nella notte, era stata sommersa dalla neve e a Farindola non c’era uno spazzaneve in azione.
CARTA VALANGHE
Adesso, la legge regionale mette l’obbligo di due strumenti: la Carta di localizzazione probabile delle valanghe (Clpv) e la Carta dei rischi locali di valanga (Crlv). La Clpv «riporta i siti valanghivi individuati in loco anche sulla base di testimonianze oculari o d’archivio, nonché mediante l’analisi dei parametri permanenti»; la Crlv è una carta di dettaglia che individua «il livello di pericolosità e dei rischi». E qui c’è il primo cambiamento: «Dal momento dell’avvenuta notifica della Clpv», dice la legge, «nelle aree considerate dalla stessa come soggette a potenziale pericolo di valanghe è sospesa, a titolo cautelativo, l’edificazione nonché la realizzazione di impianti e infrastrutture ai fini residenziali, produttivi e di carattere industriale, artigianale, commerciale, turistico e agricolo nonché ogni nuovo uso in dette aree che comporti rischio per la pubblica incolumità».
IL RUOLO DEL CORENEVA
La legge regionale affida un compito decisivo al Coreneva (Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e delle valanghe) sotto la supervisione della Protezione civile: il Coreneva «svolge compiti di consulenza tecnica» e poi si occupa, tra l’altro, di «individuazione delle zone di priorità per gli interventi di difesa», «indagini, studi e verifiche per l’accertamento delle condizioni di rischio», «formazione». E il Coreneva cosa avrebbe fatto a Farindola con uno storico di almeno cinque valanghe cadute a poca distanza di Rigopiano nel corso di 14 anni (1991, ’99, 2001, 2003 e 2005)?
I DIVIETI (IN)SUPERABILI
L’articolo 6 divide le aree a rischio in due parti: per quelle di prima categoria c’è il divieto di realizzare «impianti e infrastrutture ai fini residenziali, produttivi e di carattere industriale, artigianale, commerciale, turistico e agricolo»; per quelle di seconda categoria, «i divieti possono essere rimossi a condizione che siano preventivamente realizzate opere di difesa e di prevenzione». E in questi casi è necessario il preventivo parere favorevole del Coreneva.
TEMPI STRETTI
La legge regionale mette tempi stretti: «Entro dieci giorni dall’acquisizione delle informazioni, il sindaco notifica l’esistenza dei pericoli da valanga ai proprietari ed agli eventuali possessori e detentori degli edifici e degli impianti esistenti nelle zone segnalate».
COMMISSIONI VALANGHE
Altro capitolo è quello delle Commissioni locali valanghe: a Farindola, per 11 anni prima della valanga, non si erano più riunite come se fosse una località balneare. L’ultima seduta riporta al 24 febbraio 2005, poi, un silenzio assordante. Nessuna riunione anche nel 2008, quando il Comune di Farindola aveva approvato il Piano di emergenza in cui, dicono gli atti della procura, «era del tutto assente la trattazione e la valutazione del rischio valanghe e del rischio neve-ghiaccio che non venivano inseriti in nessuno dei successivi aggiornamenti del 2010 e 2014»: vuol dire che in tre Piani di emergenza licenziati in 6 anni non esiste un richiamo al pericolo valanghe. Invece, adesso, per i Comuni contrassegnati dal rischio valanghe, le commissione diventano obbligatorie e devono essere convocate «entro 60 giorni» dal primo consiglio comunale. E se il Comune non interviene, il presidente della giunta regionale deve nominare un commissario: «Gli oneri e le spese derivanti dall’esercizio dei poteri sostitutivi gravano sugli enti inadempienti».
LA POLITICA
Di fatto, ora la politica, che genericamente parlando è rimasta fuori dall’inchiesta su Rigopiano, si chiama fuori dal caso valanghe e affida tutto alle mani della Protezione civile. Una legge, dice Verrecchia, che non è contro qualcuno o qualcosa ma a favore della sicurezza: «Con l’amministrazione Marsilio», dice, «continuiamo a lavorare per una Regione sempre più moderna sicura ed attrattiva».

