Zuppi: «Per Francesco la fede non è mai una scappatoia dalla vita»

8 Maggio 2025

Il cardinale, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, spiega il Vangelo secondo Bergoglio in edicola con il Centro: «Il Papa, commentando la tempesta sedata sul lago Tiberiade, riflette sulla gratuità e sulla solidarietà dell’accoglienza»

CITTA’ DEL VATICANO. Papa Francesco ci ha abituato fin dai primi giorni a una lettura del Vangelo quotidiana. Nella tradizione ignaziana il legame tra la Parola di Dio e la persona è qualcosa di centrale e assolutamente prioritario. Potrebbe essere altrimenti? Cosa succede quando questo legame diventa inesistente o accessorio? L’ignoranza della Parola, che rimane sepolta sotto altre abitudini, inutilizzata nella pratica dei cristiani a causa di una non conoscenza, era per San Girolamo niente di meno che «ignoranza di Cristo». Non a caso l’incipit del suo documento più programmatico è Evangelium gaudium, con la caratteristica che lo definisce: gioia. Non si può capire Francesco e il suo insegnamento senza capire la centralità del Vangelo «sine glossa», senza ipocrisie e convenienze, legato alla vicenda umana concreta, presentato sempre con grande sapienza umana, arguzia, semplicità e profondità, immediatezza e meditazione, tutt’altro che accondiscendente verso il lettore eppur affatto ridotto a scontato precetto morale. Il suo parlare è comprensibile al primo ascolto e da interiorizzare in quelli successivi, sempre miniera di ispirazione e di approfondimento. È come lo stile stesso del Vangelo, fatto di parabole e immagini concrete, evocative, chiare eppure sempre ispiratrici.

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Non a caso ha voluto la Domenica della Parola, proprio perché la venerazione verso di essa cresca nelle comunità cristiane. «Fides ex auditu.» È vero. La Parola chiede ascolto, il terreno buono del Vangelo dove certamente produce frutto. È il Verbum Domini che ci è rivolto perché ci accorgiamo finalmente della sua presenza in mezzo a noi. Nella Babele delle nostre parole si presenta quella del pellegrino, la Parola, che cammina con noi e ci vuole scaldare il cuore e fare sentire la sua speranza oggi. È la verità che cerchiamo per capire la nostra vita e quella di un mondo così complicato e difficile da comprendere. La Costituzione conciliare sulla Santa Liturgia afferma che «il Cristo è presente nel la sua parola, giacché è lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra Scrittura» (7). Più avanti si dice che attraverso la Bibbia «Dio parla al suo popolo, Cristo annunzia ancora il Vangelo» (33). La Sacra Scrittura non trasmette una dottrina, e non è neppure un semplice contenitore di regole morali. Nella Bibbia è Dio che ci parla, attraverso il suo Spirito. Per questo le Sante Scritture donano un’energia di grazia, una potenza interiore, misteriosa ma realissima: la Parola che le Scritture custodiscono è una forza che cambia, che guarisce, che trasforma, che salva. Gli antichi Padri della Chiesa per convincere i cristiani ad accostarsi alla Bibbia dicevano che era la «Lettera di Dio agli uomini». Gregorio Magno, uno dei più grandi maestri spirituali della Chiesa, raccomanda a Teodoro, medico dell’imperatore di Bisanzio, di non lasciarsi sopraffare dalle occupazioni che gli impediscono di leggere e meditare ogni giorno la Parola di Dio: «Mi riferiscono che stai facendo cose molto belle, importanti, ma mi dicono anche che non trovi tempo per leggere la Scrittura. Ascoltami: se l’imperatore ti scrivesse una lettera, avresti forse il coraggio di cestinarla prima di averla letta per intero? Ebbene, che cos’altro è la sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura? Leggila dunque con ardente affetto». E continua: «Orbene, l’imperatore del cielo, signore degli uomini e degli angeli, ti manda una sua lettera che riguarda la tua vita e tuttavia tu, figlio illustrissimo, trascuri di leggere con trasporto questa sua lettera! Ti prego, medita ogni giorno le parole del tuo Creatore. Impara a conoscere nelle parole di Dio il cuore di Dio per anelare con più ardore alle realtà eterne, perché la tua anima si accenda di maggiori desideri per il gaudio del cielo» (Epist 5, 46). Ci aiuta a trovare noi stessi. Gregorio Magno, a ragione, diceva: «La Sacra Scrittura si presenta agli occhi della nostra anima come uno specchio, in cui possiamo contemplare il nostro volto interiore». È molto più vicina di quello che pensiamo e comprende la nostra vita se le permettiamo di entrare e la mettiamo in pratica. «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?” Non è al di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?” Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Dt 30, 11-14). Quante volte ha voluto proprio regalare la Parola di Dio al termine dell’Angelus, tra l’altro distribuita dai poveri, perché essi ci aiutano a capirla e in realtà ce la trasmettono, ce la chiedono.

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Jorge Mario Bergoglio fin da giovane gesuita in formazione e poi da prete e da vescovo non ha mai smesso di praticare il metodo che Sant’Ignazio propone a tutti coloro che vogliono vivere gli Esercizi spirituali: l’immedesimazione di se stessi nella scena evangelica che si prende di volta in volta in considerazione. È quello che il cardinale Carlo Maria Martini ha fatto gustare alle migliaia di giovani (e meno giovani) nei suoi anni da arcivescovo di Milano e nei numerosi ritiri che ha predicato in ogni parte del mondo. Quanti hanno scoperto la ricchezza della Parola, il gusto di «masticarla» proprio tramite la predicazione dell’arcivescovo di Milano?

Francesco mette al centro della propria missione di pastore il Vangelo. E chiede ad ogni cristiano di fare come il santo di cui ha scelto il nome, Francesco d’Assisi: leggere il Vangelo «sine glossa», senza commento, cioè senza aggiustamenti né infingimenti, lasciando che la voce e i gesti di Gesù scardinino le nostre abitudini tiepide e rilassate. Lo ha più volte domandato pubblicamente anche con un piccolo segno: tenere a portata di mano, nella borsetta o in tasca, un piccolo Vangelo di uso quotidiano, cui ricorrere nella giornata per trarre un’ispirazione, ricevere un consiglio, trovare un abbraccio di conforto. Scrive papa Francesco in Evangelii Gaudium: «Non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo». «La predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti» (n. 39). In queste pagine il lettore troverà un itinerario di commento al Vangelo tramite le parole di Francesco pronunciate all’Angelus, tradizione che si ripete ogni domenica. Colpisce di questi commenti, molto brevi, che non durano più di quattro o cinque minuti, la semplicità e la profondità, senza un linguaggio interno, comprensibile a credenti e a persone che non hanno uno sguardo di fede sulla vita. Un frasario essenziale, un’interpretazione accessibile della parola di Dio, che è capace di raggiungere tutti. Bergoglio sa lanciare a ciascun uditore un invito, un suggerimento, una suggestione con cui confrontarsi. Aprire e leggere queste brevi meditazioni di papa Francesco significa lasciarsi interpellare dalla parola che Dio ci rivolge ogni giorno, restando vulnerabili alla sua forza tranquilla. La Bibbia, lo sappiamo bene, è un libro particolare: ha in se stessa una forza e una capacità di smuovere la coscienza. Francesco ce lo spiega bene, ricorrendo ad un esempio che lui stesso definisce «paradossale»: «Qualcuno ha detto: cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattano il nostro telefono cellulare? Se la portassimo sempre con noi, cosa succederebbe?». Ecco quello che potrebbe accadere, continua il pontefice: «Se avessimo la Parola di Dio sempre nel cuore, nessuna tentazione potrebbe allontanarci da Dio e nessun ostacolo ci potrebbe far deviare dalla strada del bene».

Francesco è quanto mai sensibile alla necessità che il commento umano al Vangelo sia il più possibile all’altezza della capacità performativa del testo biblico. E invece spesso le parole che noi uomini del sacro dedichiamo alla Scrittura rischiano di svilirne la portata rivoluzionaria. Yves Congar, maestro al Concilio Vaticano II e creato cardinale da papa Giovanni Paolo II, stigmatizzava il livello delle omelie con questa fulminante battuta: «Nonostante trentamila prediche fatte ogni domenica, in Francia c’è ancora la fede». Francesco afferma che «l’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo.

Di fatto, sappiamo che i fedeli le danno molta importanza; ed essi, come gli stessi ministri ordinati, molte volte soffrono, gli uni ad ascoltare e gli altri a predicare» (n. 135). Nei pochi minuti che Francesco impiega per commentare ogni domenica, dalla finestra su cui si affaccia per abbracciare Roma e il mondo, possiamo essere certi che la distanza fisica che il pontefice ha rispetto alla gente raccolta sul sagrato è inversamente proporzionale alla vicinanza che Francesco offre nell’entrare in dialogo con Dio tramite la sua Parola.

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Questo libro ne è un’attestazione concreta e fruibile. Bergoglio ci accompagna come un amico dentro le parole e gli atti del Signore per percorrere anche noi la via di Gesù, come sapientemente questo volume viene titolato. Sarebbe impossibile riassumere qui la pluralità e la poliedricità della lettura che Francesco ci dà degli episodi e dei detti evangelici. Tra i tanti, voglio cogliere uno spunto che deve continuamente far riflettere chi prende sul serio Gesù, la sua proposta di una vita all’insegna della gratuità, della solidarietà, dell’accoglienza. Afferma Francesco, commentando il brano di Matteo 14, 22-33, l’episodio della tempesta sedata sul lago di Tiberiade: «Il Vangelo ci ricorda che la fede nel Signore e nella sua parola non ci apre un cammino dove tutto è facile e tranquillo; non ci sottrae alle tempeste della vita. La fede ci dà la sicurezza di una Presenza, la presenza di Gesù che ci spinge a superare le bufere esistenziali, la certezza di una mano che ci afferra per aiutarci ad affrontare le difficoltà, indicandoci la strada anche quando è buio. La fede, insomma, non è una scappatoia dai problemi della vita, ma sostiene nel cammino e gli dà un senso».

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Frère Christian de Chergé, il priore del monastero di Tibhirine, uno dei sette monaci trappisti rapiti e uccisi nel 1996 in Algeria, scrisse ad un amico: «Dio non ci chiede l’impossibile: ce lo dona!». Queste pagine di Francesco ne sono una testimonianza: Dio non ci chiede l’impossibile, ci dona la sua Parola, sempre creatrice e fertile, il seme che ci è affidato, e che le parole raccolte in queste pagine ci fanno percepire ancora di più come «lampada per i nostri passi» sempre necessaria, ancor di più in questi tempi incerti e inquieti.

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