Pescara, le famiglie sfollate otto mesi dopo l’allarme 

Il 30 ottobre 2016 la prima richiesta di aiuto dei 236 residenti di via Lago di Borgiano, ma la perizia decisiva sul rischio crollo è del 14 giugno. Due settimane dopo lo sgombero

PESCARA. Di certo sono 8 mesi. Ma potrebbero esserne passati tanti di più: forse un anno o ancora di più. Sicuramente, dal terremoto del 30 ottobre 2016, i 236 residenti dei tre palazzi popolari di via Lago di Borgiano, sgomberati mercoledì scorso per il rischio di crollo, hanno vissuto in case pericolanti. Compreso il 18 gennaio scorso, il giorno della valanga di Rigopiano, quando si sono contate 5 scosse. In quei giorni, dopo le prime rassicurazioni dell’Ater e dei vigili del fuoco, gli inquilini non hanno lasciato gli 84 appartamenti: si sono fidati di quelle promesse firmate sui verbali di sopralluogo. Ma, di notte, gli stessi inquilini non hanno mai smesso di sentire «scricchiolii particolarmente frequenti» e chiedere «verifiche tecniche specifiche sulle condizioni dei fabbricati».

leggi anche: Blasioli: sistemate tutte le famiglie  E adesso comincia la seconda fase «Hanno tutti una sistemazione gli assegnatari delle tre palazzine di via Lago di Borgiano interessate dall’ordinanza di sgombero per instabilità statica: come già anticipato ieri le famiglie si...

Da questa denuncia-appello sono partiti i controlli commissionati dall’Ater alla Labortec Ingest di Bologna: con un atto del 29 novembre 2016, il direttore Ater Giuseppina Di Tella e l’amministratore unico Virgilio Basile hanno dato il via alle «verifiche strutturali» e alle «indagini diagnostiche» sui tre edifici di Rancitelli alti 7 piani e su altre 5 palazzine di via Aldo Moro. Il documento parla anche di altri stabili da esaminare, a partire da quelli di via Basento ai numeri 52 e 62, per una spesa totale di circa 90 mila euro, ma per ora i controlli non sono partiti: per via Basento, l’Ater non è neanche in possesso dei progetti e dei calcoli strutturali delle costruzioni realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta ed è in corso la ricerca degli elaborati all’Archivio di Stato. Gli altri stabili citati si trovano in via Vezza 3, via Rio Sparto 1 e 15, via Secchia 24 e via Adige 3.
Dal 2 marzo scorso, i tecnici della Labortec hanno cominciato i rilievi e fatto prelievi di cemento e armature a Rancitelli. Sui palazzi ci sono ancora i segni dei carotaggi: buchi nei muri per prelevare campioni di cemento e ferri. Secondo un documento interno dell’Ater, firmato dal dirigente tecnico Carmine Morelli, il 19 maggio scorso l’Ater ha ricevuto i primi risultati su 4 stabili di via Moro che hanno superato l’esame di idoneità statica. Soltanto lunedì scorso, 3 luglio, all’Ater sono giunti i risultati sulle case di via Lago di Borgiano: «Dalla documentazione e relativa certificazione», dice la nota di Morelli, «risulta che i fabbricati in questione non sono in grado di assicurare la stabilità e la sicurezza strutturale e funzionale ai fini statici, e quindi di garantire i livelli di sicurezza minimi previsti dalle vigenti norme tecniche sulle costruzioni. Per questi tre edifici ( di 28 alloggi ciascuno ) si ritiene pertanto che vadano adottati i conseguenziali provvedimenti preliminari di messa in sicurezza previo allontanamento di tutti i nuclei familiari , distacco dei servizi, muratura dei porticati e delle aperture del primo piano».
Il giorno successivo, il 4 luglio, l’Ater ha scritto al sindaco Marco Alessandrini e al presidente della Regione Luciano D’Alfonso parlando della necessità di sgombero immediato e dell’abbattimento delle case popolari: «Le conclusioni delle verifiche sono purtroppo negative al punto da prevederne la demolizione», dice la nota di Basile.
La relazione sulle case pericolanti di Rancitelli, firmata dall’architetto Virgilio Angelini di Ascoli Piceno, porta la data del 14 giugno scorso e mette sotto accusa anche il cemento che si sbriciola. Come dimostrano anche i pilastri alla base dei palazzi: «Tra le problematiche principali risulta esserci la qualità del calcestruzzo utilizzato, in alcuni casi anche al di sotto dei minimi di normativa per l’utilizzo strutturale e la modesta presenza di armature». Un cemento che non tiene più. E non solo in caso di terremoto: il rischio di quel cemento impoverito è quotidiano, dice il documento. E se dal 30 ottobre 2016 a oggi non è accaduto niente è soltanto una fatalità: un miracolo. «Nella struttura del fabbricato, già in condizioni statiche, sono presenti elementi che non soddisfano le verifiche di sicurezza». La perizia spiega che i palazzi, lesionati dalle scosse di terremoto che si sono susseguite tra il 2016 e il 2017 e costruiti con un cemento scarso, ormai non sono più sicuri anche in assenza di sisma: «Eseguendo l’analisi modale», dice la perizia, «si ottiene l’immediato collasso per carichi statici che evidenzia l’inadeguatezza strutturale del fabbricato che non consente il calcolo della vulnerabilità sismica in quanto il fabbricato non è verificato per i normali carichi statici gravitazionali previsti dalla vigente normativa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA