Polemiche sull’Aca, Brandelli: «Il mio compenso ridotto a 800 euro al mese»

21 Settembre 2025

La presidente della società pubblica dell’acqua: «Con una cifra del genere gli amministratori non vorranno più responsabilità, saranno ruoli di facciata»

PESCARA. Giovanna Brandelli lancia l’allarme sul futuro della governance della più grande società idrica d’Abruzzo. All’indomani dello stop della Corte dei conti sui compensi del consiglio di amministrazione dell’Azienda comprensoriale acquedottistica (Aca), giudicati “fuorilegge”, la presidente della stessa società pubblica – in un’intervista al Centro – chiarisce che la cifra contestata di 109.000 euro è il costo complessivo per l’intero Cda (e non un compenso individuale) e rivela un fatto finora inedito: in attesa della pronuncia dei giudici, l’intero organo amministrativo ha deciso di non percepire un solo euro da aprile 2024, affrontando senza indennità anche la grave crisi idrica estiva.

Brandelli difende con forza l’operato del suo consiglio, che ha ereditato un’azienda «prossima al fallimento con un debito di 110 milioni» e l’ha resa «bancabile», capace di attrarre 90 milioni di euro di investimenti. La presidente segnala quella che definisce una «contraddizione» della stessa Corte dei conti, che pochi mesi fa giustificava la necessità di un Cda per le dimensioni dell’Aca, ma oggi impone un tetto di spesa che – spiega sempre lei – ridurrebbe il compenso del presidente «a 800 euro netti al mese». Una cifra, sostiene, «incompatibile con le responsabilità operative» e che rischia di consegnare l’azienda a una gestione puramente di facciata, incapace di affrontare le sfide del Pnrr e dei cambiamenti climatici, proprio nel momento in cui serve la massima competenza.

Presidente Brandelli, la Corte dei conti ha messo sotto accusa i compensi del Cda. Partiamo dai numeri: di che cifre parliamo?

«Innanzitutto facciamo chiarezza. I 109.000 euro contestati sono il compenso lordo per l’intero organo amministrativo, non per una sola persona. Sono suddivisi al 40% per il legale rappresentante e al 30% per ciascuno dei due consiglieri. Questo significa che il compenso lordo per il presidente di una società che fattura 80 milioni di euro e ha quasi 200 dipendenti era di circa 40.000 euro annui. Con i tagli imposti dalla Corte, questa cifra scenderebbe a 28.000 euro lordi. Parliamo di circa 800 euro netti al mese. Per i consiglieri, si passerebbe da 30.000 a 18.000 euro lordi».

La delibera vi invita a restituire le somme in eccesso. Ma lei sostiene che vi siate già mossi in anticipo.

«Questa verifica della Corte dei conti era partita alla fine del 2023. Per tale motivo, il consiglio di amministrazione ha deciso di non percepire un solo euro a partire da aprile 2024, in attesa delle valutazioni. Abbiamo affrontato la siccità e tutti i disagi dell’estate senza alcun tipo di indennità. Di fatto, siamo già in pari rispetto a quanto indicato dalla deliberazione. In ogni caso, ritengo che questo pronunciamento della Corte dei conti sia dannoso per la società».

Perché?

«Perché un compenso di 800 euro netti al mese per un legale rappresentante che porta avanti 90 milioni di euro di investimenti è insostenibile. Una cifra del genere si sposa solo con una carica assunta ad honorem, un ruolo di pura rappresentanza politica con gli azionisti. Ma oggi la gestione di una società come l’Aca, regolata da un’autorità nazionale come l’Arera e con precisi indicatori di performance, non può essere solo di facciata. Ci sono responsabilità operative enormi: bisogna andare sui depuratori, sui cantieri, rispondere per i progetti del Pnrr, presentarsi in tribunale. Un presidente ad honorem non può farlo. Chi si assumerebbe queste responsabilità per quella cifra? Il rischio è di svilire completamente l’operatività del Cda».

A giugno la Corte dei conti era già intervenuta su Aca. In quell’occasione, quali erano state le osservazioni?

«In quella deliberazione la Corte ha sostenuto che l’Aca, per dimensioni, fatturato e numero di dipendenti, è l’unica società del servizio idrico regionale per la quale si giustifica un organo collegiale come il Cda e non un amministratore unico. Ora, la stessa Corte ci dice che il costo azienda per tre componenti può essere al massimo di 70.000 euro. È una contraddizione: da un lato ci dici che la struttura è corretta, dall’altro imponi un compenso che la rende di fatto ingestibile. Questa sentenza procurerà alla società amministratori che non entreranno nel merito, che non si prenderanno responsabilità».

In passato, qual era lo scenario dell’Aca?

«Noi abbiamo ereditato un debito di 110 milioni di euro e una situazione di fallimento. Oggi l’Aca è bancabile, ha ottenuto 30 milioni di fondi dalla Banca europea degli investimenti. Allora mi chiedo: dove erano le deliberazioni della Corte dei conti quando, prima del 2013, gli amministratori prendevano più di 100.000 euro ciascuno e portavano la società alla rovina? I soldi pubblici sono sempre soldi pubblici. L’ultimo pronunciamento della Corte dei conti umilia tutto il lavoro fatto per salvare l’azienda, tutte le ore spese e le responsabilità che mi sono assunta in prima persona, anche azzerando la vecchia dirigenza».

Che valutazioni fa ora per il suo futuro? Resterà alla guida dell’Aca?

«È chiaro che non sono all’Aca per guadagnare, il mio è stato un servizio. Ma da qui a essere additati come soggetti che hanno lucrato, questo no. È una deliberazione rigida, che non fa bene alla società. Ovviamente farò le mie valutazioni personali, ma una cosa è certa: se questi sono i binari, la governance dell’Aca va completamente ripensata. O si va verso un amministratore unico, o si avrà un consiglio di amministrazione che si limiterà a un ruolo di rappresentanza. E questo, in un momento storico così delicato, significa fare male alla società».

©RIPRODUZIONE RISERVATA