Truffavelox, l’editoriale del direttore: quando finisce il senso dello Stato

Un modo truffaldino con cui incastrare i malcapitati viaggiatori, costringerli a pagare dazio come nella più tragicomica scena di Non ci resta che piangere: “Un fiorino!”. Il paradosso è che Roberto Benigni e Massimo Troisi venivano perlomeno avvisati della gabella
FRANCAVILLA AL MARE. Il primo dramma degli automobilisti italiani è iniziato quando i comuni dissestati, e troppo spesso costretti a coprire i buchi di bilancio, hanno iniziato a vedere gli autovelox come dei bancomat. Ecco il primo salto evolutivo: gli autovelox nati come deterrente del rischio sono stati trasformati in sostituti d’imposta e, in alcuni casi, come per effetto di una progressione infernale, sono diventati delle vere e proprie trappole della viabilità. Un modo truffaldino con cui incastrare i malcapitati viaggiatori, costringerli a pagare dazio come nella più tragicomica scena di Non ci resta che piangere: “Un fiorino!”. Il paradosso è che Roberto Benigni e Massimo Troisi venivano perlomeno avvisati della gabella. Da anni, invece, chi viaggia viene colpito, a tradimento, da un nemico che non si mostra.
In questa stagione di “autovelox Far West” abbiamo visto cadere (negli atteggiamenti di molte amministrazioni e di tantissimi custodi della legge) ogni soglia di decenza: i rilevatori di velocità venivano incastonati in modo ingannevole negli arredi urbani dei paesini, mimetizzati nelle curve sghembe delle strade rurali, impiantati come un fuoco di contraerea agli angoli di ogni snodo in cui il buon senso portava ad accelerare, e la tagliola delle multe a rallentare. Pensavamo dunque di averne vista di ogni colore, di cotte e di crude, ma mai avremmo immaginato un retroscena bello come quello individuato dagli inquirenti e rivelato dal nostro Gianluca Lettieri in questa inchiesta a puntate.
Secondo quanto accertato dal procuratore di Chieti Giampiero Di Florio, un gruppo che sembra stare a metà strada tra ‘Amici miei’ e ‘I soliti ignoti’ aveva allestito una drammaturgia grottesca e oscena come quella rivelata dall’inchiesta folgorante che oggi è arrivata a compimento. Dalle intercettazioni, dall’entità stupefacente del monte multe, dal malfunzionamento grottesco del dispositivo, autovelox che fa la multa anche ai pedoni, rilevandoli a 60 all’ora (anche se camminano!), emerge il cuore dell’inchiesta che vi stiamo raccontando. C’era un “puparo” che indicava la strategia, e c’erano dei gregari che lo assistevano e lo assecondavano.
Infine, come scopriamo oggi in questa terza puntata di Lettieri, c’era addirittura un possibile movente: favorire con i controlli a pioggia l’aumento dei premi di produzione. Riflettete un attimo su come era possibile pensare di farla franca: io per primo, quando ricevo la notifica di una contravvenzione, fatico addirittura, in quei caratteri microscopici, che servono a loro volta a mascherare una lingua burocratese e oscura, a capire dove ho preso la contravvenzione, con quale macchina, a quale ora. Non è un caso: tutto è costruito per rendere scomodi i ricorsi. Ma se a questo si aggiunge l’organizzazione che abbiamo detto, e la prima stima, di 4.000 persone coinvolte, che ovviamente non si parlano, spesso non si sono mai incrociate nella vita, è molto difficile trovare qualcuno che metta in relazione ciò che è accaduto a lui a quello che è accaduto ad altri.
Ti arriva la multa, se hai i soldi e l’umore giusto paghi, se sei pignolo contesti, ma è difficile che possa sfiorarti il sospetto di una contravvenzione che non è frutto dell’errore, ma di una precisa strategia. Dunque dobbiamo dire grazie al camionista che, dopo essersi visto consegnare un’ammenda per una velocità da 111 km/h che non poteva sostenere con il suo camion, neanche volendo per un positivo limitatore di velocità, ha avuto la lucidità di denunciare. E dobbiamo dire ancora una volta grazie alla magistratura, al rigore con cui conduce le sue indagini, al comandamento, che spesso la muove, spingendo ad agire in un interesse collettivo, e non solo sulla base di una querela di parte o di un interesse individuale leso.
È fin troppo evidente che quello che succede con l’autovelox di Francavilla, in mancanza di garanzie, poteva accadere ovunque. Ed è altrettanto evidente che 4.000 tartassati del truffa-velox dovrebbero poter attingere allo strumento della class action per difendersi dal torto che hanno subito. Non so se fra i tanti comuni che ho finanziato, viaggiando per lavoro, da pendolare e da giornalista, c’è anche la tesoreria di Francavilla. Tuttavia, questa scoperta, che temo di fare, nulla cambia rispetto alla mia indignazione: essendo tutti potenziali vittime di questa architettura, è come se fossimo tutti colpiti da questo tarocco in pubblica piazza. Spero che nessuno faccia l’errore di minimizzare questa inchiesta: perché dove finisce la certezza del diritto, dove il cittadino viene ingannato da qualcuno che deve servire la pubblica amministrazione, finisce sempre anche il senso dello Stato.
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